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Alla ricerca dell’Estate Romana perduta

25 agosto 1977. “Senso” di Visconti prima storica proiezione.
Quella sera c’erano centinaia di spettatori nella Basilica di Massenzio.
Nasceva l’Estate Romana.

Questo breve richiamo alle date potrebbe già bastare per soddisfare il momento del ricordo.
Ma il pensiero corre immediatamente all’incontro di due galantuomini illuminati e al tempo spesso sperimentatori e lungimiranti: Giulio Carlo Argan e Renato Nicolini inventori di questo innovativo Manifesto Culturale concreto e dinamico. Non annunci. Non promesse. Ma scommessa rischiosa. E alla fine vinta. Una vittoria piena, completa al punto tale da essere consegnata alla storia “socio-culturale” del nostro Paese.
Per capire la portata attuale della loro visione occorre soffermarsi su un semplice interrogativo: che cosa sarebbero le nostre città senza gli interventi che le rendono più belle e vivaci?
Sono tempi difficili nei quali ciò che viene fatto per la società viene quasi ignorato; il miglioramento della vita sociale, l’innalzamento della qualità culturale sembra non interessare la maggioranza dei decisori. Ne consegue che sono sempre meno coloro che tentano di emulare gli esempi virtuosi, rischiando spesso l’isolamento come novelli Damone ( il quale invocava ai suo tempi una legislazione innovativa per consentire alle arti di contribuire alla formazione del senso civico).
E il caro e straordinario Renato Nicolini è stato troppo frettolosamente messo da parte. Insomma si è dimenticato il creatore e non la creazione e questo non è giusto. Nicolini ci ha messo la faccia e chi ha capito fino in fondo il suo impegno gli è riconoscente per la sua sapiente dedizione verso il campo culturale; ostico, fonte di dispiaceri ma affascinante e unico.
Ecco perché il quarantennale dell’Estate Romana non può e non deve essere un momento meramente celebrativo, ma deve stimolare innovazioni al fine di elevare sia il livello culturale, sia sociale.
La sfida attuale in questa fase di carenza di fondi pubblici è quella di attirare investimenti privati con la capacità di coinvolgere i sostenitori con un ruolo centrale per ripensare le politiche pubbliche nell’ottica dell’impresa sociale in questo settore strategico per le funzioni vitali della collettività e dei territori.
Oggi, cultura significa soprattutto coesione sociale. Nella notte buia dell’ignoranza deve essere riscoperta l’idea di comunità quale antitodo alla crisi. Ogni luogo, e il nostro Paese ne è ricco, deve avere diritto alla lucidità delle decisioni. L’esperienza ci indica la strada da seguire, partendo dall’abbandono delle semplici dichiarazioni, o di frasi ad effetto (o peggio contributi a pioggia per la gestione del consenso), per arrivare a programmi che possano dare reale sviluppo sociale.
Riportare l’uomo al centro dell’azione culturale è fondamentale. Un ritorno ad un ordine morale che ci fa pensare all’insegnamento socratico per cui il dovere di chi ha responsabilità non è solo quello di contribuire al miglioramento delle condizioni materiali dell’esistenza di una società, ma anche di rendere i cittadini migliori.
E’ la presa di coscienza di questo impegno morale verso noi stessi che deve farci uscire dalla “caverna” del tecnicismo e delle logiche di mercato, per cambiare baricentro e fondare una società basata sui valori, che non si riduca al mero uso degli strumenti per sopravvivere. Ecco perché, ciascuno, a cominciare da chi ha responsabilità sociali, deve contribuire ad “essere cultura” nel rispettare se stesso e il suo contesto. Ognuno di noi dovrebbe dire “io sono cultura perché ho reso la società migliore”, anche con piccoli gesti e per il bene della propria comunità: dal rispetto del paesaggio, alla tutela e alla valorizzazione del patrimonio artistico. Tenere chiuso un museo è la prova evidente del fallimento dell’azione dell’uomo, non solo per lo sviluppo di un vincente turismo culturale, ma anche e soprattutto per l’occasione di creare, di questi tempi, posti di lavoro attraverso la forza della risorsa cultura attingendo a tutte le opportunità, in particolare europee.
E’ uno scenario aperto. Aperto al coraggio di chi non si ferma di fronte alla scusa di un bilancio senza fondi. Occorre trovare lo spazio per una reazione culturale che possa stimolare decisioni pubbliche non scadenti per colmare vuoti, ma per vitalizzare le città in maniera nobile e accurata. In questo senso è necessario pensare ai primi incontri tra Argan e Nicolini. Hanno pensato in grande e hanno donato alla Capitale un’esperienza indimenticabile. Esperienza copiata anche in altre parti del mondo. Esperienza perduta e per questo da ritrovare. E forse l’Estate Romana potrebbe essere il modello vincente per una nuova primavera di tante città, borghi e periferie bisognose di rinascita umana, sociale e culturale.

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