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Chi e come specula sul dolore dei familiari di Giulio Regeni

La famiglia del povero Giulio Regeni, il giovane ricercatore italiano ucciso al Cairo sicuramente con la complicità, quanto meno, dei servizi segreti egiziani, che lo avevano scambiato per una spia, ha tutto il diritto di dissentire, per carità, dalla decisione del governo di Roma di nominare e rimandare al Cairo un ambasciatore. Che sostituirà il diplomatico ritirato l’8 aprile dell’anno scorso per protesta contro le troppe omertà già emerse dalla vicenda ormai giudiziaria di quel delitto.

Sono invece meno certo del diritto di quei familiari di consentire che all’ombra del loro comprensibile e condivisibile dolore s’imbastisca da parte delle opposizioni di vario colore una campagna politica ed elettorale, visto il momento in cui si svolge, contro il governo nazionale. Che nei rapporti con altri governi e Stati deve tutelare interessi generali, e non solo particolari. E non si venga a dire che non sono generali, riguardanti cioè tutta la collettività nazionale, gli interessi per un nuovo e più stabile assetto degli equilibri politici in Libia, dove l’Egitto svolge un ruolo rilevante e si gioca, fra l’altro, la partita drammatica del controllo e della gestione del fenomeno migratorio che si rovescia sulle coste italiane.

La campagna scatenata contro il ritorno di un ambasciatore italiano al Cairo rimane non condivisibile, anzi diventa ancora meno condivisibile, di fronte all’uso che si sta cercando di fare non solo del dolore e dei timori dei familiari di Giulio Regeni di non vedere scoperte e punite le responsabilità della tragica fine del giovane friulano, ma anche della rivelazione fatta dal New York Times di un vecchio rapporto del governo americano a Roma sul coinvolgimento dei servizi segreti egiziani nella vicenda.

Penso che l’attuale presidente del Consiglio Paolo Gentiloni, all’epoca ministro degli Esteri, non avesse avuto bisogno in quei giorni del rapporto dei servizi statunitensi per capire come fossero andate le cose al Cairo, e anche per sapere che di un rapporto di quel genere le autorità italiane non potessero fare alcun uso per determinare chissà che cosa nello sviluppo delle indagini giudiziarie in Egitto e del loro coordinamento con quelle italiane condotte dalla Procura di Roma.

Un problema esisterebbe, e darebbe ragione ai familiari di Giulio Regeni e a quanti ne sfruttano il dolore, se la decisione di rimandare un ambasciatore italiano al Cairo significasse la rinuncia del governo italiano al dovere di reclamare e di agire perché le indagini sulla fine del giovane italiano proseguano e si concludano seriamente. Ma le relazioni diplomatiche sono state ripristinate anche a questo scopo, come ha precisato il ministro degli Esteri in carica Angelino Alfano, finalmente sottratto per un po’ della sua giornata alla fatica meno istituzionale di salvaguardare la sopravvivenza politica ed elettorale sua e del suo partito, o della sua corrente, trattandola nelle ore pari con gli emissari di Silvio Berlusconi e nelle ore dispari con quelli di Matteo Renzi.


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