Oggi la riforma dell’intelligence compie dieci anni. Non sono pochi per un bilancio, in una fase di accelerazione continua della storia.
Non dobbiamo fronteggiare solo le minacce interne alla nostra sicurezza, ma troviamo innanzi a noi anche un panorama di minacce inedite, che ignorano le frontiere fisiche, valicano i muri, si annidano sin nel cuore delle nostre società.
Dieci anni fa i tempi erano maturi per modificare in profondità un assetto normativo che rifletteva un mondo, quello della guerra fredda, tramontato per sempre. L’11 settembre, gli attentati di Madrid e Londra, i primi attacchi ad infrastrutture critiche su larga scala avevano cambiato da tempo il volto della minaccia.
Approvando quel provvedimento in tempi rapidi ed in uno spirito di leale collaborazione fra le forze politiche di maggioranza e di opposizione, il Legislatore intuì che i Servizi Segreti dovevano reggersi su una idea moderna e innovativa: fare Sistema, lavorare in uno spirito di unitarietà. Si ritenne prioritario stabilizzare il quadro giuridico, innovare nell’architettura organizzativa ed accorciare la catena di comando di una funzione pubblica peculiare, diversa dalle altre in quanto non convenzionale.
“Sistema” vuol dire fare squadra, lavorare insieme, coltivare l’eredità valoriale della tradizione, integrare le risorse umane, finanziarie e tecnologiche. Per declinare l’idea di “Sistema”, si operò dunque in quattro direzioni: la responsabilità, l’efficienza, la legalità, la trasparenza. Quattro architravi utili oggi a misurare i risultati ottenuti. Quella scommessa è stata vinta? Si, il bilancio è ampiamente positivo.
La responsabilità, anzitutto. Si è potuto, in questi anni, scrivere pagine bellissime di cultura democratica, grazie alla sintonia forte costruita fra il livello politico e l’intelligence, che lavora esclusivamente sulla base di quanto un apposito “Gabinetto per la Sicurezza Nazionale” le chiede di fare. Sono, al contempo, straordinari per intensità, lealtà reciproca e mutuo affidamento, i rapporti che intercorrono con il Comitato Parlamentare di controllo.
L’efficienza. Si diede corpo non ad un Servizio unico, bensì, quale forma doverosa di garanzia, a tre Organismi, con una netta distinzione di ruoli fra AISE ed AISI, ma con una regia unitaria chiara, grazie al coordinamento affidato al Dipartimento Informazioni per la Sicurezza, cui, peraltro, dal 2013 sono state affidate le funzioni centralizzate di supporto. Oggi, effettivamente, l’intelligence non è più un apparato. È una comunità coesa, aperta alle altre Amministrazioni, vicina alla Magistratura, in costante e forte sinergia con le Forze di Polizia e con le Forze Armate.
La legalità. Si può ammettere l’illecito, ma non l’illegale. È accettabile che vengano condotte operazioni segrete coperte da garanzie specifiche per commettere azioni illecite, esclusi comunque i reati più gravi. E in tal senso i Servizi agiscono ora rigorosamente nel perimetro dell’ordinamento.
La trasparenza. La legge di riforma cambiò la disciplina del segreto di Stato, assoggettata a termini temporali precisi, ed intesa a tutelare anche il patrimonio informativo delle nostre imprese. In virtù dello stesso principio, è stato possibile rendere pubblici documenti relativi a periodi drammatici della nostra storia.
È stata spianata la strada ai partenariati con i soggetti privati, al reclutamento delle eccellenze e dei giovani talenti, a una comunicazione istituzionale moderna. È stato stretto un patto con l’Accademia, ed è stata promossa la cultura della sicurezza.
E i Servizi Segreti si sono guadagnati un capitale di fiducia senza precedenti presso l’opinione pubblica.
In un decennio, quel testo legislativo complesso si è dimostrato solido a sufficienza per resistere alla pressione degli eventi, e flessibile abbastanza per adattarsi ai mutamenti. Si è tradotto in un’imponente attuazione regolamentare, ed è stato migliorato coi necessari interventi di aggiornamento, dettati dall’evoluzione della minaccia al Sistema Paese.
Quanto basta, oggi, per conoscere e prevenire le minacce nei loro contorni reali senza cedere a paure ingiustificate. Anche se nessuna intelligence potrà mai assicurare il rischio zero, in un’epoca in cui la minaccia terroristica è tutt’altro che cessata ed il contesto globale è quanto mai competitivo.
In particolare, il sistema produttivo è chiamato a presidiare la sua competitività e le condizioni essenziali del suo sviluppo, fra cui la sicurezza cibernetica, sfida cruciale per il futuro.
Siamo riusciti ad attrezzarci per affrontarla nel quadro di un’architettura da poco rinnovata e adeguata alla sofisticazione della minaccia. Non sarebbe stato possibile se non avessimo avuto alle spalle dieci anni per consolidare e mettere a frutto le conquiste della riforma: coordinamento, raccordo, sinergia, collaborazione internazionale.
L’intelligence istituzione fra le istituzioni. Ad essere stata vinta sino in fondo è anche la scommessa più importante, quella della consapevolezza. Oggi è chiaro a tutti che più sicurezza non vuol dire affatto meno libertà. Al contrario, avere più sicurezza è condizione essenziale per vivere liberi.
Paolo Gentiloni