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Consigli non richiesti sulla scuola

scuola

La ministra Valeria Fedeli ha ereditato una scuola veramente molto malconcia e avvicinandosi la prossima riapertura dell’anno scolastico i problemi da risolvere sono tanti. Il più impegnativo riguarda la situazione nord-Lombardia dove vi sono ben tremila cattedre scoperte tra superiori, medie, primarie e scuole d’infanzia e mancano addirittura, duemila insegnanti di sostegno e nel dibattito politico c’è chi ha proposto, demenzialmente, di ripristinare le classi speciali per alunni disabili. Alla faccia dell’integrazione e della lotta alle discriminazioni.

Le direzioni scolastiche regionali dovranno dunque attingere dalle graduatorie per supplenti e sostituire più di ottocento insegnanti che hanno ottenuto il trasferimento, in molti tornando da dove sono venuti e dunque al sud. Si riaccende dunque la discussione di due anni fa quando in nome della mobilità ad alcuni insegnanti del sud, venivano assegnate cattedre al nord con assunzioni a tempo indeterminato, che venivano regolarmente rifiutate. Si disse allora, per ragioni economiche, in quanto il trasferimento comportava un costo della vita notevolmente più elevato nella città del nord dove viene assegnata la cattedra, con una difesa ad oltranza dei sindacati sui “diritti negati agli insegnanti di rimanere in famiglia a casa loro”. Come se lo Stato deve garantirti la sede sotto casa. Ovviamente questo rifiuto comporta per gli studenti un turn-over di insegnanti supplenti per tutto l’anno scolastico, una girandola infernale di pratiche burocratiche sia dei plessi scolastici sia delle graduatorie, con disguidi notevoli per le famiglie delle alunne e alunni.

Non c’è dubbio che lo stipendio di un insegnante statale nel sud ha potere d’acquisto reale più elevato di quelli del nord in quanto la vita ha un costo molto inferiore. Ma purtroppo questa realtà non è destinata a riflettersi positivamente sulle sorti economiche del Mezzogiorno. Infatti secondo i dati Svimez vi sono timidi elementi positivi nell’economia meridionale, che ne mostrano la resilienza alla crisi – e non è sicuramente sufficiente a disancorare il sud da una spirale in cui si rincorrono bassi salari, bassa produttività (il prodotto per addetto è calato cumulativamente nel periodo 2008-2016 del -6% nel Mezzogiorno, del -4,6% nel resto del Paese), bassa competitività, ridotta accumulazione e in definitiva minor benessere. Il nodo vero è ancora una volta lo sviluppo economico nazionale, per il quale il Mezzogiorno deve essere un’opportunità, calibrando l’intensità e la natura degli interventi per il sud.

Dunque dovremmo cominciare proprio da questa considerazione e introdurre un modello contrattuale diverso. Anche la scuola come il modello privato, deve permettere, in tutto il Paese, attraverso la contrattazione integrativa decentrata, di garantire e di ampliare il potere d’acquisto dei salari in virtù sia delle dinamiche inflazionistiche territoriali che della produttività aziendale. Peraltro i metalmeccanici hanno innovato e seriamente e anche il sistema statale deve potersi attrezzare.

Il sindacato deve uscire dall’immobilismo e concordare subito e presto per il pubblico impiego le condizioni di una forte contrattazione decentrata con un consistente trasferimento di risorse ai livelli locali e una responsabilità della distribuzione dei benefici, solo così le retribuzioni di fatto possono adeguarsi anche al costo della vita. Così si tutelano, anche sulla base della qualità del loro lavoro, tutti gli insegnanti, e anche gli studenti e le famiglie. La trattativa sul rinnovo contrattuale dei quattro comparti del pubblico impiego, dalla scuola alla sanità è appena iniziata e Aran ha convocato il governo e i sindacati per l’avvio della negoziazione, sui temi generali, per l’accordo sull’Atto di indirizzo preliminare. L’auspicio è chiudere entro l’anno: tra le problematiche sul tavolo quella relativa al cumulo degli aumenti con il bonus 80 euro in modo che uno non escluda l’altro. La cifra media che il governo proporrà è di 85 euro, da mettere sulla parte fondamentale della retribuzione, a cui si aggiunge il salario accessorio che sarà distribuito per merito. Tra le questioni trasversali ai comparti ci sono, oltre alle risorse, i capitoli relativi a orari e ferie, nonché la revisione dei permessi e delle assenze per malattia. Come in ogni trattativa, le condizioni devono essere accettate in modo bilaterale. Per sottoscrivere il nuovo contratto, le associazioni dei docenti hanno calcolato che occorrerebbero invece 2.400 euro di aumenti annui per i docenti e 6mila euro per i dirigenti. Il calcolo deriva da due fattori: il recupero dell’indennità di vacanza contrattuale, pari al 7% e da conteggiare dal settembre 2015, come stabilito due anni fa dalla Corte Costituzionale; l’applicazione dei veri e propri aumenti, questi da assegnare dalla firma del contratto che hanno una consistenza analoga. Il governo ha messo sul piatto invece 85 euro lordi a regime, di cui la maggior parte ancora da approvare con la Legge di bilancio di fine 2017, peraltro da accreditare solo, se va bene, dai primi mesi del 2018. Tanto che, al momento, si può contare sulla sicura copertura di appena 36 euro lordi medi a lavoratore.

I nodi da sciogliere, tuttavia, non sono solo quelli relativi alla parte economica. Riguardano, ad esempio, la perdurante discriminazione del personale precario rispetto a quello di ruolo: sono sempre di più i giudici, anche europei, che indicano come illegittimo trattare diversamente un supplente, dagli scatti di anzianità, alla diversità nella fruizione delle ferie, della malattia e dei permessi. Purtroppo poi la mancata attenzione   si evidenzia anche dal taglio di 50mila Ausiliari tecnici amministrativi e dalla mancata assunzione di amministrativi, tecnici e collaboratori scolastici e il blocco del concorso per il personale non docente, più volte annunciato dal Miur, come quello dei presidi e dei Coordinatori di segreteria. Sempre per il personale Ata, diventa fondamentale anche adeguare normativamente le nuove funzioni lavorative e le loro competenze. Insomma, ministra Fedeli, già sindacalista di rango: attenzione ai suoi colleghi sindacalisti!

 


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