La circostanza che ieri il presidente del Consiglio Paolo Gentiloni, responsabile istituzionale dell’intelligence nazionale, abbia diffuso la sua opinione sui dieci anni dalla riforma del settore è molto indicativo. Cominciano, quindi, concretamente a diluirsi le ombre che hanno avvolto per decenni questo settore fondamentale dello Stato, osservato a volte con sospetto anche da quelli che avrebbero dovuto dirigerlo.
Su questo argomento, l’Università della Calabria ha promosso nel giugno scorso un convegno scientifico alla presenza del ministro dell’Interno Marco Minniti e con esperti di vari ambiti da Carlo Mosca a Roberto Baldoni, da Paolo Scotto di Castelbianco a Lorenzo Vidino, da Carlo Jean ad Antonio Rinaldi. I relatori si sono confrontati sul tema del convegno “A dieci anni dalla riforma: risultati, questioni aperte, prospettive”. Dalle relazioni sono emerse numerose indicazioni.
Probabilmente come risultati si può annoverare l’apertura alla società e al mondo accademico, con le prime assunzioni avvenute nelle università. Le questioni aperte riguardano gli effettivi risultati conseguiti dalla nuova architettura organizzativa incentrata sul Dis, dalla conseguente capacità di elaborare un’analisi strategica, dall’utilizzo delle garanzie funzionali e delle intercettazioni preventive, dalle nuove procedure di selezione per verificare se abbiano poi sostanzialmente mantenuto un circuito di reclutamento interno alle Forze dell’ordine. Infine, le prospettive riguardano preliminarmente l’identificazione dell’interesse nazionale e a seguire la selezione e formazione degli operatori, lo scontro drammatico contro il crimine e il terrore, le collaborazioni istituzionali all’interno degli Stati e poi fra di loro, la centralità del web nell’attività di intelligence.
Gentiloni ieri ha provato a fare un bilancio ed ha messo giustamente in evidenza la creazione di un sistema che dialoga con il mondo istituzionale e produttivo, ribadendo il responsabile impegno nella guerra cibernetica e nel contrasto al terrorismo. Secondo il premier, la filiera di comando si è accorciata facendo emergere i concetti di responsabilità (riferiti al Gabinetto di sicurezza nazionale e al Comitato parlamentare di controllo), efficienza (una comunità di intelligence coesa che dialoga con magistratura, forze armate e di polizia), legalità (il perimetro operativo delimitato dalle garanzie funzionali) e trasparenza (gestione del segreto di Stato e desecretazione di numerosi atti).
Gentiloni ha poi fatto riferimento al patto con l’accademia e alla diffusione della cultura della sicurezza. Su questi ultimi temi vorrei soffermare particolarmente la mia attenzione. Per quanto attiene i rapporti con le università, nel novembre del 2016 è stato sottoscritto un protocollo di intesa tra la Conferenza dei Rettori delle Università Italiane e il Dipartimento delle Informazioni per la Sicurezza della Repubblica per promuovere lo studio scientifico della disciplina. In questo momento, esistono una decina di master negli atenei italiani orientati soprattutto sul versante cibernetico. Il tema, ovviamente, è ben più ampio e queste iniziative accademiche coinvolgono in Italia qualche centinaio di studenti. Occorre quindi sviluppare ulteriormente questi studi con l’istituzione di specifici corsi di laurea che possono di gran lunga ampliare la platea di chi che possa approfondire questi argomenti. Alcuni di questi studenti potrebbero probabilmente essere molto utili nel settore della intelligence sia pubblica che privata, tenendo conto che la formazione deve riguardare non solo gli aspetti tecnici ma soprattutto quelli etici e dell’interesse nazionale. Aspetto, questo, non secondario, poiché il tema della formazione e selezione degli operatori costituisce da sempre un punto nevralgico del sistema, finora occupato in prevalenza dagli operatori delle forze di polizia, il che da un lato è certamente un bene ma dall’altro certamente un limite.
Il secondo ambito, riguarda la diffusione della cultura dell’intelligence. Su questo tema, pure nel novembre del 2016 è stata sottoscritta un’intesa tra l’allora sottosegretario Marco Minniti e l’allora ministro Stefania Giannini. L’accordo prevedeva nelle scuole una serie di azioni sulla diffusione della cultura della sicurezza, ambito quanto mai necessario. In definitiva, passi avanti significativi sono stati compiuti e quindi occorre proseguire su questa strada con iniziative concrete, puntuali e costanti nel tempo.