Sono passati appena otto mesi dall’insediamento alla Casa Bianca di Donald Trump. In questo lasso di tempo sono molti i temi che hanno interessato la presidenza: cambiamenti nella politica estera, negli accordi sul clima, il tentativo di mantenere salda la fiducia degli elettori, il muro da costruire con il Messico eretto a simbolo di un’intera battaglia politica, per di più di un Paese come gli Stati Uniti d’America che nei simboli hanno posto da sempre grande importanza, e i sommovimenti nei rapporti bilaterali internazionali con Paesi del mondo islamico, come l’Iran o l’Arabia Saudita. È possibile, a tutto questo, dare già un voto? È quanto hanno provato a fare Germano Dottori, professore di studi strategici alla LUISS, e Paolo Magri, direttore dell’ISPI, in un incontro svoltosi venerdì 25 agosto nell’ambito del Meeting di Rimini, moderato dal giornalista Roberto Fontolan e intitolato “I nuovi muri americani: l’America di Trump”.
LE POSIZIONI ANTAGONISTE DEI DUE ESPERTI
Le posizioni dei due analisti sono dichiaratamente antagoniste e antitetiche, con Dottori dalla parte della “rivoluzione” annunciata e auspicata dal nuovo presidente, e Magri invece piuttosto scettico, quando non spaventato, nei confronti di questa prospettiva. “Fare il presidente del paese ancora più importante, economicamente e militarmente del mondo, è un mestiere impossibile. Pensavo che Trump fosse un presidente pericoloso, ora penso che sia completamente inadatto”, è il giudizio di Magri. “Il suo programma implicava una rivoluzione che è iniziata con il suo insediamento ma che si è scontrata sia con il fatto che non ha un partito suo, sia con le resistenza di apparato che non gradiscono la sua volontà di smantellare la postura imperiale assunta dagli Stati Uniti dopo la seconda guerra mondiale”, è il parere di Dottori. Che a questo ha aggiunto: “Trump non è un imperialista, è un nazionalista, e vuole tornare a guardare soprattutto ai propri interessi nazionali. Una parte del Pentagono non ci sta”.
IL GIUDIZIO SULL’OPERATO DI DONALD TRUMP
La risposta di Magri è che questo conferma “l’inadeguatezza” del nuovo inquilino della Casa Bianca: “se lo fanno è perché lui stesso lì ha messi lì. E sono persone che hanno grande esperienza, e visione del mondo, che lui non ha, e la concretezza di chi non fa solo annunci e boutade”. Dal punto di vista europeo però l’interesse, più che sulle questioni interne, ricade sulla politica estera. “Ci siamo lamentati anni delle ingerenze americane in Italia, sia i comunisti che si sentivano emarginati per mano americana sia la destra che ha imputato a Obama il rovesciamento di Berlusconi. Ora che Trump promette di restituire margine di sovranità al resto del mondo, fa paura perché responsabilizza”, è il punto di vista di Dottori.
IMPERIALISMO O NAZIONALISMO AMERICANO
Magri non ci sta: “Io sogno un’America che non si ritiri dal clima, che non metta in discussione il commercio internazionale, che non dichiari una guerra implicita all’islam, e nemmeno una che venga in Italia a decidere le elezioni. Poi siamo sicuri che rispetto al passato Trump sia così poco imperialista? Si guardi la Corea, l’Afghanistan, l’Iraq, la Siria”. Sul muro col Messico, Dottori ha ricordato che “la sua costruzione è iniziata dal ‘90 e Trump lo vuole solo completare, usandolo però come elemento di connotazione del suo messaggio politico. Papa Francesco a El Paso vi ha celebrato una messa davanti. Non serve solo a limitare l’immigrazione messicana, il problema è la criminalità organizzata, di straordinaria potenza e crudeltà: nel 2016 sono state assassinate 23 mila persone”. A questo, per Magri, si oppone il fatto che “non ci sono le condizioni, nei tempi in cui sogna, di realizzarlo”.
GLI ANNUNCI DEL PRESIDENTE E IL VERSANTE RUSSO
Mentre sul versante russo, per Magri “la politica annunciata da Trump è una delle più positive. Mentre Obama non la considerava, la Russia si posizionava in scacchieri importanti. Trump lo ha capito. Il problema è che la speranza di una politica più coesa non sarà soddisfatta nei prossimi anni”. Dottori ha ribattuto imputando all’Europa lo scoppio della crisi ucraina, sostenendo poi che Trump vuole “rendere impraticabile un asse eurasiatico, rispetto al quale non avrebbe altra scelta che condurre politiche antagoniste. L’Ucraina è un problema che dobbiamo risolvere noi europei e nel quale l’America non vuole entrare”.
I RAPPORTI CON L’IRAN E I PAESI DEL GOLFO
Sul tema Iran, per Dottori, Trump vuole assicurarsi che vengano rispettati gli accordi di Vienna, mentre sospetta che l’Iran li stia violando, “conducendo ricerche con la Corea del Nord in cambio di forniture petrolifere”. Mentre lui “vorrebbe anche abbinarli ad altri che limitino la capacità iraniana di sviluppare missili a lunga distanza”, il tutto con lo scopo di difendere Israele. Infine “c’è la presa d’atto di un businessman che teme una rimessa in gioco dell’Iran, che lo possa far diventare paese egemone nel Golfo”. Oltre all’invito agli iraniani a “non aizzare né Hamas né gli Hezbollah, nel momento in cui i sauditi si prestano a favorire un avvicinamento tra l’autorità nazionale palestinese e lo stato ebraico”. Ma la politica degli annunci è rischiosa, ha sostenuto Magri: “quando Trump fa capire al fronte saudita che l’Iran è tornato il nemico di tutti fa cambiare lo scenario, creando una contrapposizione nel mondo sunnita. E il suo intento è solo quello di smontare i successi di Obama”. Anche se, per Dottori, “Trump ha posto fine a uno stato di guerra fredda tra Usa e Arabia saudita: ha firmato una tregua”.
IL NODO DEL CLIMA E LA FINE DELLA POLITICA AMERICANA DEI VALORI
Infine il clima. Per Dottori gli Usa stanno già perseguendo, per conto proprio, politiche che riducono l’inquinamento, e “attraverso le sue scelte Trump ha ribadito la sovranità nazionale degli Usa sopra ogni accordo”. Considerando il fatto che sul clima “ci sono grandi poste geopolitiche in gioco, e sul piano scientifico chi si oppone viene penalizzato nella carriera”. C’è un ultimo fattore da considerare: che “Trump può anche fallire, ma gli elettori americani continueranno sulla sua stessa strada. Il primo nazionalista americano è stato Bill Clinton, e gli americani hanno deciso che caduto il comunismo l’America non deve più salvare il mondo”. La politica americana, ha concluso Dottori, “è ora dettata dagli interessi e non dai valori. Quando al centro ci sono valori a volte i negoziati non sono più possibili, mentre se si pongono al centro gli interessi tutti i negoziati diventano possibili”.