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Fincantieri, Naval e Stx, sfide, problemi e potenzialità dell’alleanza militare navale

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Due temi, uno geopolitico ed uno geoeconomico, entrambi irrisolti, fanno da sfondo alla nazionalizzazione temporanea dei cantieri navali di Saint-Nazaire decisa dal governo di Parigi, contrario ad una acquisizione maggioritaria da parte di Fincantieri. Sotto il primo aspetto ci sono in ballo le future commesse militari. Nell’ambito dell’obiettivo di portare le spese della difesa francese al 2% del pil, elemento da cui discende il valore strategico del controllo di questo arsenale, e la prospettata costituzione di un Esercito europeo.

Come è già successo con il consorzio Airbus, per quanto dalla vita assai travagliata, la Germania non vuole mollare l’asse francese. I cantieri navali tedeschi, però, hanno creato e continuano a creare grossi problemi alle banche tedesche, e quindi non c’è nessuno che dalla Germania possa fare da ponte sulla Francia: l’accordo, in questo caso, sarebbe stato immediato e solennemente festeggiato. La maggioranza tedesca nei cantieri francesi sarebbe stata accettata di buon grado, come compensazione per l’acquisto di Opel e Vauxhall, pagate due miliardi di euro, da parte di PSA nel marzo scorso.

Negli accordi fin qui intervenuti tra Fincantieri e la controparte francese, la questione delle navi militari era stata formalmente esclusa, a ben ragione: occorre partire con una chiara e solida prospettiva di mercato, nel settore delle navi da crociera. Qualche giorno fa, la proprietà di MSC, un colosso nel settore crocieristico, aveva prospettato un intervento azionario per bilanciare la presenza italiana: ma era solo un’eco dei conflitti in casa nostra, che non andava al cuore del problema. In questi anni, infatti, i cantieri francesi hanno risentito della crisi generale della Corea, della contrazione delle spese militari di Parigi e dello scarso peso del governo di Seul nel settore delle navi da guerra: non si vendono scafi, ma armamenti galleggianti, settore in cui la Corea non primeggia.

La vendita delle navi da guerra all’estero è assai complessa: ne sa qualcosa l’Italia, che negli anni Novanta realizzò ben quattro fregate per l’Iraq di Saddam Hussein, senza poi poterle consegnare per via dell’embargo imposto in occasione della prima guerra del Golfo. Una di queste, l’unità missilistica Aviere, è ancora in vendita. Di recente, i cantieri navali di Saint-Nazaire hanno costruito per la Russia di Vladimir Putin una nave da sbarco della classe Mistral, che invece è stata consegnata all’Egitto nel giugno del 2016: le sanzioni irrogate dopo la crisi ucraina hanno portato al risoluzione del contratto con Mosca. Anche la Germania si è trovata tra i piedi la discussa vendita di due sottomarini alla marina greca, del valore di 4 miliardi di euro: in tempi di crisi profondissima, non erano certo una spesa di prima necessità.

Ci sono dunque buoni motivi per finalizzare una acquisizione fondata sulle commesse civili. Il resto verrà, se e quando sarà possibile: l’Esercito europeo ed il fondo comune per gli armamenti sono ancora un enigma. Solo uno sciocco può impegnarsi a mettere denari senza sapere a che cosa servono, per fare che cosa e chi lo farà: non è che la Francia si costruisce portaerei e noi variamo le navi appoggio. Il precedente di Thales-Alenia, nel settore dell’areospazio, non è confortante: c’è già una maggioranza a senso unico.

La seconda questione è di ordine geoeconomico: in Francia si sostiene che la partnership in corso tra Fincantieri e la China State Shipbuilding Corporation (CSSC) per la costruzione in Cina di navi da crociera per il mercato cinese rappresenti un pericoloso cavallo di Troia. Si trasferiscono conoscenze preziose, che saranno presto usate contro l’industria europea. La questione è seria: c’è il timore che lo shopping cinese in Europa faccia man bassa di tecnologie, imprese e brevetti. Ma c’è una enorme differenza tra la partnership industriale che intercorre tra Italia e Cina nel settore delle navi da crociera, considerato che i cinesi potrebbero facilmente rilevare dal fallimento i cantieri navali coreani o acquisirne altri sul mercato, e l’Accordo stipulato nel marzo 2014 tra il Presidente del Consiglio francese Bernard Cazeneuve ed il Primo ministro cinese Li Keqiang con coinvolge l’intera filiera dell’industria nucleare cinese: la Cina non vuole solo di portare a termine il suo programma nucleare interno, ma intende sviluppare le possibilità commerciali offerte dai mercati internazionali, come ha già fatto con l’Iran.

L’Accordo di Parigi per la lotta al riscaldamento climatico, con la riduzione del CO2 nell’atmosfera ed il bando del carbone, è un bel trampolino per l’industria nucleare francese. Dopo aver deciso di trasferire alla Cina il know-how nel settore nucleare, sembra davvero poco credibile parlare della strategicità delle navi da crociera.

I problemi sullo sfondo, geopolitici e geoeconomici, ci sono tutti, irrisolti. Ma non è certo con la nazionalizzazione temporanea dei cantieri navali di Saint-Nazaire che la Francia uscirà dal guado.

Pubblicato su MF/Milano Finanza, quotidiano diretto da Pierluigi Magnaschi


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