Una notizia apparsa da poco sui giornali e non sicuramente in prima pagina ci deve preoccupare non poco. Le iscrizioni alle scuole superiori per l’anno scolastico 2017/2018 dimostrano che le scelte degli studenti si dirigono verso i licei classici e scientifici e calano vertiginosamente quelle verso gli istituti tecnici, dimostrando così che l’orientamento scolastico è totalmente fallito e le richieste delle imprese piccole e medie di figure professionali tecniche andrà ancora una volta inevasa.
Ai miei studenti che si laureano in giurisprudenza raccomando sempre di non pensare solo di fare tutti l’avvocato ma di imparare anche un mestiere. L’una scelta non esclude l’altra, ma apre comunque la testa e la via per trovare lavoro. I dati del Miur parlano chiaro: il dominio dei licei con lo scientifico fra indirizzo “tradizionale”, opzione scienze applicate e sezione sportiva, resta in testa alle preferenze con il 25,1% (era il 24,5% lo scorso anno), mentre il liceo classico rialza la china da 6,1% a dello scorso anno a 6,6% di quest’anno. Invece, il 15,1% di oggi agli istituti professionali rispetto al 16,5% dello scorso anno con la diminuzione degli istituti tecnici, dimostra che i ragazzi pensano che non c’è alcuna garanzia di posti di lavoro con il tecnico, perciò scelgono i licei per avere una cultura più generale per poi girare il mondo.
I nostri giovani si illudono sulla continuità del benessere che si sono trovati e nessuno spiega loro che in Italia abbiamo bisogno di figure specialistiche: sono i giovani che arrivano dall’est che accettano i lavori che i nostri rifiutano o comunque i nostri giovani non hanno il profilo professionale richiesto. È ovvio che il problema sia l’orientamento fin dalla scuola media, che non aiuta i ragazzi a prendere in considerazione strade diverse e richieste dal mercato del lavoro e anche gli insegnanti hanno le loro colpe insieme ai genitori.
Fin quando nei nostri istituti e nelle famiglie si continuerà a dire che quelli bravi devono andare al liceo, i meno bravi ai tecnici professionali, si sbaglierà, non valorizzando una serie di percorsi che possono essere di qualità e che comunque passano prima di tutto dalla formazione dei docenti che devono migliorare l’orientamento scolastico.
Le famiglie provano ad indirizzare i figli verso il liceo in prospettiva dell’Università, e comunque le imprese pensano che oggi serve il perito o il diplomato al professionale e domani se vuoi competere servono laureati. Ma il problema vero sta nell’utilizzo del Fondo Sociale Europeo che all’istruzione e alla formazione professionale potenzialmente abbraccia una vasta gamma di attività. I nuovi programmi di studio devono poter offrire ai giovani migliori opportunità e gli insegnanti ricevono dal Fse formazione per migliorare il proprio rendimento.
Oltre a ricevere un’istruzione di base, gli studenti devono poter apprendere competenze più specifiche che li aiuteranno a scegliere il percorso professionale che desiderano e a occupare le posizioni richieste dalle imprese. Il Fondo sta aiutando università e istituti di formazione professionale a consolidare i rapporti con imprese e datori di lavoro a livello nazionale o regionale, in modo che sia i laureati sia i diplomati possano vivere una transizione più facile dalla scuola al mondo del lavoro, ma sono i contenuti dei moduli che devono cambiare.
Alcuni progretti dell’Fse, sostengono la ricerca e lo sviluppo per aumentare il numero dei giovani imprenditori e innovatori, soprattutto nei settori altamente tecnologici. Oltre a dare un impulso ai sistemi di istruzione, il Fondo si concentra anche sui loro beneficiari: scolari, studenti universitari, lavoratori e disoccupati bisognosi di formazione e nuove competenze. Molti progetti della Ue si propongono di ridurre l’abbandono scolastico e dotare i giovani di competenze e qualifiche adeguate, soprattutto tra i gruppi vulnerabili, come le minoranze e gli immigrati. Altri fanno in modo che a lavoratori e disoccupati siano offerte opportunità di apprendimento permanente in modo da mantenere le loro competenze aggiornate man mano che l’economia e le necessità delle imprese evolvono. Certo che l’obiettivo si raggiunge con una maggiore professionalità degli insegnati e un rapporto strettissimo con il territorio, le istituzioni e le imprese e non proponendo moduli formativi obsoleti per incapacità degli enti di formazione di innovarsi.
Il ministro Fedeli ha annunciato un Piano di innovazione straordinario dei percorsi di formazione professionale per il prossimo anno: bisogna fare in fretta per sostenere il nostro Paese e i nostri giovani.