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Papa Francesco e il totalitarismo islamico

Quando Papa Francesco prega per i morti e i feriti di Barcellona fa il suo mestiere, così come fa il suo mestiere quando tuona contro i mandanti e i manovali delle stragi che offendono il Creatore. Ma non basta condannare i jihadisti: essi vanno combattuti con ogni mezzo. Per sgominare il terrorismo islamico, però, bisogna prima ammettere la sua matrice religiosa (in verità, sempre negata dal Pontefice) e poi conoscerlo. Ora, siamo sicuri di conoscerlo davvero? Stando a certe analisi del jihadismo, attente a non urtare la sensibilità dei fedeli di Maometto, non si direbbe.

È merito di Hannah Arendt, al di là di alcune forzature presenti nelle sue tesi, la lettura del totalitarismo novecentesco come forma politica assolutamente nuova e diversa dalle altre forme storicamente conosciute (dispotismo, tirannide, dittatura,assolutismo, autocrazia). L’essenza di questa nuova e diversa forma politica per la filosofa tedesca era il terrore, e il suo principio di azione era nel pensiero ideologico. L’ideologia totalitaria pretende infatti di spiegare con granitica certezza il corso della storia: i segreti del passato, l’intrico del presente, le vie del futuro: “Rimane il fatto -scriveva profeticamente la Arendt- che la crisi del nostro tempo e la sua esperienza centrale hanno portato alla luce una forma interamente nuova di governo che, in quanto potenzialità e costante pericolo, ci resterà probabilmente alle costole per l’avvenire” (Le origini del totalitarismo, 1951).

Totalitarismo viene da “totalità”, e quindi esprime qualcosa che abbraccia e pervade tutto. Ebbene, dubbi non possono esserci: lsis è l’espressione più aggressiva e più violenta del totalitarismo del terzo millennio. Europa e Stati Uniti ci misero un bel po’ di tempo prima di capire la vera natura dell’espansionismo e dell’egemonismo hitleriano. Stanno commettendo lo stesso errore con il radicalismo islamista? In qualche misura, sì. Basti pensare all’Arabia Saudita, patria dell’estremismo salafita-wahabita,che continua a godere di una sorta di immunità diplomatica a Washington e nelle cancellerie europee. Ma quello che muove i foreign fighters e i militanti jihadisti che vivono nelle periferie delle nostre città non è solo il fanatismo religioso -soprattutto nella versione premiale del “paradiso dei martiri”- ma un’ideologia totalizzante. L’islam radicale appare loro come l’unica utopia rivoluzionaria capace di dare identità, di opporsi a una cultura che disprezzano e di sovvertire realtà sociali da cui sentono di essere disprezzati.

Il capolavoro di Al Baghdadi è stato quello di aver dato forma concreta a questa utopia con la costruzione del califfato, che ha offerto ai giovani radicalizzati una sponda politica e ideale alla decisione di combattere la guerra in Occidente. Adesso il suo edificio statuale sta crollando, ma le sue farneticazioni restano una merce facilmente esportabile. Poiché non si può abolire la produzione di camion, furgoni e suv, che il Dio dei Vangeli ci protegga.


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