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La pecorella smarrita della legge elettorale

sindacati

La pecorella smarrita della legge elettorale continua a vagare nei pascoli dei premi di lista o di coalizione, delle clausole di accesso o di esclusione, dei nominati dall’alto o degli unti dal basso. Secondo una pubblicistica partigiana, gli italiani avrebbero la rappresentanza proporzionale nel loro codice genetico. Niente di più falso. Al contrario, nel Dna dei nostri avi paterni (quelli materni non godevano del diritto di voto) è impresso il sistema maggioritario a doppio turno in collegi uninominali, con cui essi votarono nelle elezioni tenutesi dal 1861 al 1911. La scena muta drasticamente con la società di massa, quando i fattori organizzativi e ideologici prendono il sopravvento su quei fattori personali (lignaggio, censo, istruzione) che garantivano l’elezione dei notabili più in vista.

Giovanni Giolitti accettò il sistema proporzionale temendo l’avanzata dei socialisti e dei popolari, che poteva tagliare l’erba sotto i piedi ai candidati liberali nei collegi uninominali. Prima annunciato insieme a un allargamento del suffragio, poi applicato per la prima volta nelle elezioni del 1919, la sua adozione aveva dunque un evidente intento difensivo. Poi venne il fascismo. Quasi un secolo dopo, la tragedia rischia di ripetersi sotto forma di farsa, come diceva un tale (Marx) che se ne intendeva. Pensata inizialmente proprio per scongiurare un dicastero pentastellato, è probabile che ci troveremo con il presidente Mattarella costretto ad affidare a Giggino Di Maio l’incarico di formare il governo. E allora, vedrete, la Lega di Matteo Salvini non si farà pregare due volte pur di poter annusare il profumo del potere. Un capolavoro politico, quello dei togliattiani a loro insaputa, secondo cui il Parlamento deve essere lo specchio reale del paese. Dalle mie parti, si chiama eterogenesi dei fini.

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“Roma è sommersa dalla spazzatura, da scioperi nei trasporti che sono l’unica cosa regolare nell’irregolarità del servizio pubblico, ma nessuno dice che per Ama e Atac non basta una semplice riorganizzazione, occorre una pesantissima ristrutturazione e, nel caso della società di trasporto, sarebbe meglio chiudere tutto, fare una bad company e ripartire con qualcosa di nuovo. Non è un problema solo di manager, dirigenti e capi di settore, i dipendenti nel caos ci hanno marciato (e mangiato) alla grande. Ventiduemila in Comune, oltre trentamila nelle società partecipate. Tra loro ci sono ottime persone, ma su questa massa informe che incassa tutti i mesi uno stipendio pagato dal contribuente pende l’accusa della realtà: provate a osservare bene quello che vi circonda quando passeggiate nella Capitale. Basta e avanza per comporre il numero della polizia. Doveva restare il Commissario, il voto andava sospeso, a Roma serviva una gestione straordinaria lunga, dura e senza pietà” (Mario Sechi, List, 16 giugno 2016). In altre parole, una catastrofe che non è solo economica e ambientale, ma perfino antropologica e culturale. Dopo oltre un anno di amministrazione, la giunta Raggi somiglia alle tre scimmiette di Leonard Stuart (The Cosmic Comedy, 1919):

Sopra la porta del tempio sacro
Siedono nella loro saggezza le tre –
La scimmietta sorda,
La scimmietta muta,
La scimmietta che non vede;
Con gli occhi chiusi al male,
Le orecchie che ascoltano solo il bene,
Le labbra mute agli scandali,
Se ne stanno sedute nel loro imperioso silenzio.

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L’ostracismo è un istituto giuridico dell’antica democrazia ateniese, che comminava l’esilio per dieci anni ai responsabili di illeciti contro la sicurezza dello Stato. Nelle rare occasioni in cui fu applicato, era deciso dai cittadini con un voto a maggioranza semplice. Secondo Plutarco (“Vite parallele”) Aristide (530-462 a.C. circa), soprannominato “il giusto”, subì l’ostracismo perché si era opposto alla Legge navale proposta da Temistocle, che destinava il ricavato delle miniere d’argento di Laurion alla costruzione di navi da guerra. Tuttavia, lo stratega che sconfisse le armate persiane di Dario I nella battaglia di Maratona (490 a.C) non era contrario alla creazione di una flotta (sarà infatti il prosecutore di questa scelta dopo la caduta di Temistocle), ma al suo sistema di finanziamento. Era infatti dell’opinione che le rendite delle miniere andassero distribuite ai cittadini. In realtà, egli fu ostracizzato per la sua integrità morale e per i suoi meriti militari, che lo rendevano agli occhi dei suoi nemici un potenziale tiranno. Il che denota il carattere specificamente politico che avevano le sentenze di ostracismo.

Matteo Renzi non si può certo paragonare ad Aristide, così come Massimo D’Alema non si può certo paragonare a Temistocle, eppure quest’ultimo sta lavorando alacremente per mandare in esilio il segretario del Pd. Manca solo, appunto, il voto a maggioranza dei cittadini-elettori. A marzo (o giù di lì), aspettiamoci i fuochi artificiali nella sinistra italiana.

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Propongo al lettore due divertenti citazioni, una di un filosofo vivente, l’altra di un artista defunto, entrambi dotati di una straordinaria vis comica.

Prima citazione: “La stagione del chavismo può anche essere letta in questa chiave: un governo socialista sottoposto al vile e sempre reiterato tentativo di destabilizzazione ad opera della potenza del dollaro. […] grazie alla mediatizzazione del reale e alla “logotomizzazione” delle masse defraudate del logos come capacità del libero intendere raziocinante, questi crimini vengono salutati con gioia e come criminali sono ostracizzati quanti resistono. […] In nome di un pluriverso multipolare, resistente alle bieche logiche del mondialismo a stelle e strisce, è bene appoggiare gli Stati che resistono e che mantengono vivo il senso della resistenza e della lotta contro i crimini dell’imperialismo made in Usa. Con le parole di Che Guevara: Patria o muerte” (Diego Fusaro, il Fatto Quotidiano, 1 agosto).

Seconda citazione (se qualcuno vuole intenderla come un commento, sono fatti suoi): “Lei è un cretino, si informi!” (Totò).


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