“E’ vero che i sei giorni della creazione
sono descritti nella Genesi
in modo da far pensare che l’uomo ne sia l’oggetto principale, ma si deve
anche dire
che la storia della Genesi è stata scritta per l’uomo,
lo Spirito Santo vuole specificare soprattutto le cose che lo riguardano, e non ha parlato di nessuna cosa se non in rapporto all’uomo”
Cartesio
“Io dico che bisogna essere veggente, farsi veggente, il Poeta si fa veggente attraverso un lungo, immenso, ragionato disordine di tutti i sensi” Arthur Rimbaud, da Lettera del veggente.
Il bello e ricercato volume di poesie di Raffaele Urraro, Bereshìt (In principio) , Marcus Edizioni, Napoli 20017 è un libro che si legge con una sorprendente piacevolezza sul tema della Genesi e la visione personale dell’Origine.
Sin dai primi versi la lettura mi ha ricondotto ad Arthur Rimbaud e alla Lettera del veggente. Raffaele Urraro è un poeta, ne è cosciente e come tale vuole stare
“dentro il tempo
e dal tempo calarmi
fino alla fonte primigenia delle cose
anche se le cose
sembrano soltanto
mere proiezioni del pensiero”
Fa una distinzione l’autore e ne dà un avvertimento al lettore, lo informa che nel testo ci sono due termini, fra gli altri , che sono specchio della stessa parola, ma essenza di due concetti distinti : Pensiero e pensiero.
Il Pensiero in qualità di Logos e il pensiero umano, l’uno pensa l’altro, l’altro genera se stesso. Un sillogismo che solo apparentemente sembra astruso, perché, afferma il poeta, da che mondo e mondo il pensiero umano ha generato il Pensiero, il Logos quella Ratio che ha preso forma da un primigenio tentativo dell’uomo di spiegare a se stesso, il sé come barlume di coscienza .
Fa queste premesse il poeta che indaga il Bereshìt e “bussa alle porte dell’Universo” non con l’intenzione di creare il contro canto satirico del Libro Primo della Bibbia, ma semplicemente di rendere la propria visione dell’esistenza, di come fu quell’origine delle cose e degli uomini, quella Genesi che sempre e da sempre ha costituito un interrogativo della ragione umana.
E fu la luce
Il Pensiero sperduto nei suoi pensieri
mirava a pescare una parola
nel deserto del nulla
perché non c’è la parola che la dica
come sanno i poeti –
Trovo in questi versi tutto il senso che il poeta premette , trovo la chiave del sillogismo tra il Pensiero con la P maiuscola e il pensiero scritto con la p minuscola: senza il “pensiero” cioè quella facoltà solo umana di rappresentarsi le cose, gli eventi, se stessi e gli altri non ci sarebbe stato “ Pensiero” cioè Razionalità, cioè Dio perché anche Dio è partorito dalla mente umana nonostante i suoi limiti.
La mente nomina Dio ma non lo comprende.
la luce e le tenebre
…il Pensiero volle con la luce
fissare il bianco e il nero
il giorno e la notte…
se un giorno potessimo affacciarci
sull’ “orlo vertiginoso delle cose”
e afferrarne tra le mani l’alito profondo
capiremmo la genesi
del nulla e del tutto…
Raffaele Urraro è un poeta, un moderno pensatore che si interroga sulla fonte primigenia, sull’essenza delle cose, si chiede dov’è quella fonte dello spirito che trasmette un’anima alle cose del creato, perché , in fondo, le cose hanno un nome e il nome è stato “pensato” dall’uomo -come sanno i poeti-
E’ un inciso ricorrente in Urraro -come sanno i poeti- ed è questo inciso che rivela la continua ed antica ricerca dei poeti, una ricerca delle cose, e degli eventi, dei moti dell’anima e delle parole e prima delle parole sono i Nomi : quella è la Genesi, nominare!
la creazione dell’uomo
…
il Pensiero
artigiano della vita
cominciò ad osservare
-come fanno i poeti-
lieto e perplesso.
…
I poeti fanno, i poeti sanno, i poeti cantano… sono loro i primi filosofi, i primi uomini che toccano con mano le cose dandogli senso e nome , perché i poeti sono come i fanciulli che non disdegnano il contatto con le cose . I fanciulli toccano con mano, osservano, giocano, si sporcano, si immergono nel mondo delle cose e se le rappresentano e solo allora danno loro un nome .
Quando i poeti hanno ben presente le “cose” allora le cantano e il loro canto, la loro poietica è fatta per perpetuare le cose, per conoscerle e farle conoscere:
Il divieto
….
…e non poteva convincersi che
conoscere
significasse
morire
oh estrema condanna dell’uomo
dramma dell’esistenza
la più grave condanna del pensiero.
Sono limpidi e sconvolgenti i versi dell’autore che afferma “ La donna era un’idea del Pensiero” era bello il progetto e belle le parole e ne l’immagine e la somiglianza Quindicesima riflessione sul pensiero annota:
non siamo figli di un dio minore
ma del dio nato dal nostro pensiero
limitato anche nella sua immaginazione
è la nostra finitudine disperante…
Non è immune dalla perspicace ironia la visione della Genesi di Urraro, si coglie tra i versi , si avverte come una quintessenza mentre si ha ben presente l’immagine del prologo “sto accovacciato all’ombra di un platano…”, l’ironia di affermare che dopotutto “ Il mondo è stato creato dal Pensiero senza pensarci…”, ironia di profetizzare che di tutto resterà “un silenzio di neve” sì, nonostante il perpetuo interrogarsi, nonostante la conoscenza , nonostante il progresso su questa meravigliosa e stupefacente Genesi rimarrà sempre un’intuizione , una proiezione mentale, una rappresentazione e mai una rivelazione delle cose e del principio delle cose :
quando penso alla genesi del cosmo
L’infinito è una semplice
proiezione del pensiero…
Ma allora perché l’uomo continua ad interrogarsi? Perché non smette la sua ricerca , perché continua a costruire le cose e ad inventare un nome da dare alle cose?
Perché
C’è un fascino dubbioso che sconforta
quando s’incontra sulla propria strada
una verità rivestita di ombre
e la si vuole svelare…
Lo dice nei versi di l’infrazione del divieto, il poeta Raffaele Urraro e lo trasmette questo dubbio fascinoso che pensa e fa pensare,lo stesso dovrebbe essere suscitato nei giovani , dovrebbe questo dubbio indurli a pensare che forse la Genesi è nella mela, in quel frutto peccaminoso che non si doveva cogliere …
era bella la mela
bella e fascinosa come
l’aspetto intrigante di un mistero
da scoprire…
La mela non è il frutto del peccato, è il frutto della conoscenza e conoscere è quella facoltà che l’uomo accresce a dismisura nelle sue azioni e nelle sue passioni e che gli provoca una sconfinata sete ed un infinito dolore.
Conoscere è la genesi del dolore dell’uomo, ogni conquista umana porta con sé la gioia di un approdo e la morte del cuore, ma è una morte apparente finché vi è quel “fuoco dell’anima”, quella “forza vivente” quell’energia dello spirito che perpetua l’umanità in quella alternanza di Homo Faber e Homo Sapiens, quell’alternanza che finisce per essere una sola natura : la mano della mente, la mente del cuore.
In fondo l’uomo ha “il diritto di sapere” di strappare il velo di Maya , di liberarsi dalle illusioni per poi rammendarlo e tornare a cercarlo disperatamente come gli Argonauti di un Mito sconfinato e senza tempo.
E’ sempre il conforto di Eva che riporta l’uomo alla sua quotidianità, a quella concreta ricerca di “un’altra via” che invita a proseguire il cammino, che invita a progredire verso il mondo e a superare un pianto che mai si trasforma in disperazione.
Raffaele Urraro ci rivela la sua visione razionale e ci rende l’immagine del suo pensare, la ricerca della verità attraverso non solo il suo bagaglio immaginifico e filosofico ma anche attraverso il personale dialogo con la sua coscienza , a quel formidabile rapporto che Kant definì l’ “Io penso”.
Bereshìt si può benissimo considerare un “Io penso” pieno di spunti per una ricerca sulla genesi del Pensiero.