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Vi racconto le sfide di noi piccoli editori. Parla Diego Guida

Di Carolina Servidio

Diego Guida proviene dalla storica famiglia dei librai di Port’Alba di Napoli, una breve esperienza come assessore del Comune di Napoli sotto l’Amministrazione Jervolino, un uomo tra “passato e futuro” tra tradizione ed innovazione che a 50 anni – soprattutto per colpa della crisi dell’editoria – si è reinventato, forte della sua esperienza trentennale, come editore con un ruolo nella cultura partenopea in particolare e nel Mezzogiorno in generale. Guida è presidente nazionale del gruppo Piccoli Editori dell’Aie (Associazione Italiana Editori) aderente a Confindustria ed è la prima volta per un editore meridionale.

Quali sono i suoi progetti per il futuro triennio?

Devo dire che sono molto soddisfatto per il risultato della elezione a presidente del gruppo dei Piccoli Editori di Confindustria. È la prima volta che un editore partenopeo occupa uno spazio importante per la vita dell’associazione e dunque per la rappresentanza di un’intera categoria. Inoltre questo sarà un anno importante per noi piccoli editori in quanto la nostra fiera “più libri più liberi”, giunta alla sedicesima edizione, si terrà alla Nuvola di Fuksas per la prima volta e sarà un segnale importante per dimostrare che l’editoria è pur sempre un comparto non solo nell’ambito culturale ma anche nell’ambito industriale ed imprenditoriale. La nostra presenza nella nuova struttura congressuale dell’Eur a Roma sarà il primo segnale di un rinnovato impegno che i piccoli editori vogliono svolgere per la promozione della lettura e della cultura d’intesa con le massime istituzioni locali. E l’inaugurazione di uno spazio congressuale moderno e innovativo è proprio un primo segnale che vogliamo lanciare al pubblico dei lettori.

Cosa si augura per quest’anno?

La Fiera di Roma che è organizzata proprio dai piccoli editori dovrà rappresentare quest’anno ancor di più un momento e soprattutto un luogo per rafforzare non solo la presenza di piccoli editori ma anche per rafforzare i rapporti tra editori di altri Paesi d’Europa per un miglior scambio dei diritti d’autore dunque dei diritti commerciali fra i Paesi e per questo ringrazio vivamente l’Ice (Istituto per il Commercio con l’estero) che rappresenta da tanti anni un ottimo interlocutore per il gruppo piccoli editori che mette a disposizione le proprie competenze per poter ospitare e coniugare al meglio le iniziative di piccoli editori italiani con gli editori degli altri Paesi del mondo. Quest’anno tra l’altro avremo un interessante presenza degli organizzatori della bookmesse di Francoforte con i quali stiamo immaginando di rafforzare sempre di più la nostra interlocuzione per un miglior risultato non solo europeo ma anche internazionale per i piccoli editori”.

Trovandosi nel pieno della crisi editoriale ha saputo diversificare la “mission” rispetto a quella che fu della prima e della seconda generazione della famiglia “dei librai”

La diversificazione in un’impresa come quella editoriale che è stata sempre considerata come un’industria matura nonché un’impresa difficilmente innovabile è la vera chiave di volta per risolvere le difficoltà nella produzione e nella distribuzione. Parlare di un confine tra passato e presente e forse ancor meglio tra presente e futuro vuol dire innanzitutto avere chiara la percezione di quanto sia possibile ancora fare per rinnovare un prodotto, il libro, che seppur nella sua forma tradizionale, cioè quella cartacea, deve trovare il modo di migliorarsi nell’offerta e nella presenza nelle librerie tradizionali e nei diversi punti di vendita. Inevitabile la trasformazione anche del mestiere di libraio che va visto oggi in una luce completamente diversa. Non è più possibile avere quantità notevoli di volumi di uno stesso titolo, non è più possibile avere un catalogo approfondito e completo, non è più possibile per il libraio offrire solo i libri dei grandi editori e non esser in grado di personalizzare la propria offerta ai lettori.

Quali caratteristiche dovrebbe avere un libraio al passo con i tempi?

Oggi libraio vuol dire riuscire ad offrire una scelta di libri personalizzata dunque offrirsi al pubblico dei lettori con una qualificazione specifica e ben mirata: solo in questo modo si potrà vincere la battaglia per la sopravvivenza. Compito di noi piccoli editori deve essere dunque quello di riuscire a farsi conoscere al meglio dai librai e riuscire con poco investimento ad occupare gli spazi necessari. Fino a qualche anno fa la tiratura media in un titolo non era mai al di sotto di 1000 copie oggi è impensabile ragionare allo stesso modo. Gli editori alla prima edizione di un libro procedono con delle tirature mirate difficilmente con un numero superiore ai 500 volumi per poi procedere con le ristampe immediate. Con le nuove tecnologie digitali infatti si ha la possibilità di investire in modo mirato e soprattutto di riuscire a raggiungere tutti i punti vendita e in poche e a soddisfare le richieste. Il punto dolente è quello di riuscire a convincere i librai e i rivenditori a gestire il loro magazzino con lo stesso equilibrio economico finanziario ed essere dunque pronti ad ordinare volta per volta che si hanno le richieste: un diverso e forse nuovo mestiere per il nuovo millennio, gestire al meglio il proprio magazzino con conseguenti risparmi di costi e di personale”.

Dalle statistiche provvisorie sembra che ad usufruire del “bonus cultura” (un assegno di 500 euro a coloro che avessero compiuto 18 anni nel 2016) sia stato poco meno del 60% aventi diritto e tutto a favore dei colossi del web. Secondo lei quali sono le cause?

Noi italiani siamo sempre molto strani non si fa nulla per la cultura e ce ne lamentiamo, si avviano segnali di interesse ed impegno verso la cultura e ci lamentiamo per gli scarsi risultati. Non siamo mai contenti. Io direi che il bonus cultura con i suoi 500 euro per i giovani e per i docenti e certamente un primo segnale importante. Importante, perché finalmente le istituzioni cominciano a comprendere la necessità di investire nel mondo della cultura. Certo l’impegno è ancora poco, manca tutto quello che deve essere offerto dal contesto istituzionale per la promozione della lettura e per rendere “interessante” leggere e crescere culturalmente. Anche le (poche) campagne pubblicitarie promosse dai ministeri non riescono a coinvolgere davvero né giovani né i nuovi lettori in quanto non si riesce ad essere accattivanti e non si avvicinano i nuovi lettori. Quel che si fa è ancora poco, manca tutto quello che il contesto istituzionale per la promozione della lettura deve fare. Io spero che non debba essere tutto demandato alle associazioni di categoria dunque alle azioni dei privati e dei cittadini.

Oggi si legge meno, mentre la cultura è diventata per lei un vero e proprio “cavallo di battaglia” con la creazione di “Spazi culturali”.

In Italia si legge troppo poco questo è vero. Solo il 42% degli italiani legge almeno un libro all’anno. La situazione è veramente triste. Ed è ancora più triste se consideriamo che su 100 libri venduti in Italia, 22 se ne vendono (dunque se ne leggono) nella Lombardia, 16 nel Lazio, solo 4 se ne vendono in Campania.

Quali considerazioni possono farsi alla luce di questi dati?

Ecco, ogni azione deve essere fatta per incidere anche con la politica dei piccoli passi, nella mentalità degli italiani. È chiaro che il processo sarà lungo e quindi anche le battaglie che noi editori combattiamo ogni giorno, e cioè creare nei nostri spazi/momenti di confronto, di dibattito con la motivazione di presentazione dei nostri libri in modo di avvicinarsi alla lettura. L’organizzazione di eventi culturali potrebbe essere il primo passo per avviare politiche istituzionali ben più strutturate. Guida, con la sua rivista “Spazi culturali” ed anche con la neonata “Associazione Guida alla cultura” di recente riconosciuta anche dalla Regione Campania per il suo valore sociale e culturale per il territorio, è impegnata in questo senso, oramai da anni. Questa dovrebbe essere una parola d’ordine per la cultura e per l’editoria, soprattutto da parte delle istituzioni pubbliche che non devono lasciare questo impegno unicamente agli operatori culturali come noi editori.

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