Fu un viaggio d’affari nel 1995 in Thailandia a cambiare il corso della vita a Wei Jianjun. Aveva poco più di trent’anni e decise di fare un tour tra Chiang Mai, Pattaya e Nakhon Ratchasima. Da circa cinque anni, quando aveva appena compiuto 26 anni, era alla guida della Great Wall Industry, un’azienda di proprietà statale piena di debiti che ambiva a diventare leader nel campo delle macchine agricole. Fu durante quel viaggio che Wei Jianjun – destinato a diventare uno degli uomini più ricchi in Cina con un patrimonio personale che Forbes ha stimato in 6,6 miliardi di dollari – rubò l’idea di costruire non automobili ma dei pick-up, furgoni molto più funzionali alla popolazione cinese, prettamente agricola, rispetto a quello delle automobili. Affascinato da questi “elefanti a quattro ruote motrici” che servivano le popolazioni rurali thailandesi, ben presto gli autocarri di Great Wall diventarono il mezzo più usato da piccoli imprenditori e agricoltori nell’entroterra cinese.
“Un passo alla volta si diventa grandi” è la filosofia che sta alla base della scalata di successo di un uomo che oggi ambisce a prendersi l’intera FCA (come scritto anche da Formiche.net) con un solo obiettivo: penetrare nel mercato statunitense che ancora è off limits rispetto agli affari della Great Wall. Un passo alla volta e senza neanche perdersi troppo d’animo.
Perché quando alla fine degli anni Novanta il governo di Pechino vietò ai camionisti di viaggiare nella maggior parte delle grandi città cinesi con i loro autocarri, mister Wei ebbe un’altra intuizione: utilizzando lo stesso telaio di camion trasformò la sua linea di fabbrica di pick-up in veicoli commerciali sportivi. Inventò di fatto i SUV ma ad un prezzo di vendita che era meno della metà di quello delle altre automobili e il suo modello principale Haval in poco tempo divenne il SUV più venduto in Cina.
Una fortuna che porta nel 2003, Great Wall, primo fabbricante di automobili cinesi, ad essere anche la prima società di automobili a voler sbarcare in borsa, più precisamente nel listino di Hong Kong, dove raccoglie in pochi giorni oltre 195 milioni di dollari.
Nato 53 anni fa a Pechino, mister Wei si trasferisce con la famiglia a Baoding, una città a sud della capitale e nella provincia di Hebei. Qui studia economia, fa diversi lavori come operaio in fabbrica e termina gli studi a 25 anni nell’Università di Hebei. Un anno dopo sigla l’accordo con la comunità locale per rilevare la Great Wall Industry. “L’innovazione è la chiave di volta per vincere. E la perseveranza. Nessuno avrebbe mai scommesso che Nokia, leader dei telefonini soccombesse alla volta di Apple. Eppure è successo. Perché chi si ferma sui propri successi è perduto” ha detto qualche mese fa in una convention ad Hong Kong mister Wei parlando davanti ad una platea di venditori accorsi per ascoltarlo, come riporta Bloomberg.
E non solo. Wei capisce anche che per crescere bisogna uscire dalla propria realtà, diventare una multinazionale significa anche cambiare brand. Perfino il proprio nome se è il caso. Così qualche mese fa ascolta i consigli del pubblicitario americano Al Ries, presidente della società Atlanta Ries&Ries, già consigliere per Microsoft e Ford di cambiare il suo nome e quindi creare un nuovo brand: “Jack Wey” più facile per gli stranieri da pronunciare e ricordare rispetto al cinese Wei. Un consiglio benedetto. Wei Jianjun diventa Jack Wei. E un marchio: WEY “per preparare il mercato SUV per entrare nell’era della concorrenza dei prezzi” ha spiegato recentemente mister Wei “Le vendite di veicoli a marchio WEY ci porteranno margini di profitto più elevati e con l’aumento del volume delle vendite, contribuirà maggiormente alla linea di fondo di Great Wall”.
D’altra parte uscire fuori dai propri confini è stato sempre un suo cruccio. Great Wall è stata la prima azienda cinese a vendere in tutta l’Unione europea e la prima a sbarcare in Italia, dove nel 2006 ha venduto le sue prime 500 Hover. In quell’anno Great Wall si è anche scontrata con la Fiat a causa dell’utilitaria Peri, che secondo il colosso italiano era stata copiata dalla Panda. In un bilaterale con l’allora ministro del Commercio Internazionale, Emma Bonino fu un perentorio Bo XiLai, all’epoca quotatissimo ministro del Commercio cinese, a rispondere “che il Panda è cinese e se qualcuno ha copiato il nome siete voi che vi siete appropriati del nostro animale simbolo”. Per questo Great Wall continuò a vendere le Peri in Cina, dove la legislazione sul copyright è meno rigida che in Europa. La contesa con Fiat non ha comunque impedito a mister Wei di guidare la sua espansione in Europa, che è proseguita con un accordo con il gruppo bulgaro Litex, in cui ha investito 420 milioni di dollari per realizzare uno stabilimento che oggi dà lavoro a 1.800 addetti e produce 4 modelli: Hover, Florid, Coolcear e Steed.
Per questo uomo minuto, che si è sposato ma non ha avuto figli, il successo è arrivato proprio perché non si è mai fermato, al punto di sdoppiare il suo nome e trasformarsi in Jack Wey pur di fare il grande salto. Oggi guida un impero con una capitalizzazione di mercato di 18,1 miliardi di dollari e un utile netto lo scorso anno di 1,6 miliardi di dollari.
E può puntare anche all’acquisto dell’intera Fca, non solo di Jeep come inizialmente ipotizzato. “Un passo alla volta si diventa grandi”. Sempre se il governo di Pechino, impegnato a contenere gli investimenti esteri, non si metterà di traverso. Ma questo non sembra preoccupare mister Wei o Jack Wey. Se ha fatto questo passo non è perché sia uno spregiudicato. Al contrario vuol dire che la famosa goccia cinese sta per rompere il guscio e penetrare nel mercato americano attraverso Fca. Adesso? Domani? Un passo alla volta. E chissà mister Trump come la prenderà quando scoprirà che Jack Wey non è un americano, ma un cinese che più cinese non si può.