Avere il wifi, ma non sapere che farsene, mi è capitato a Pechino. La soglia che separa me da voi in occidente oggi è “la spesa dati mensile”. Ho raggiunto i miei 60 euro di libertà. Oltre il quale il nostro gestore interrompe la connessione. Mi tutela, diciamo, mette al riparo il mio restante credito, dall’uso spasmodico della rete e soprattutto dei social network (quest’ultima è un’espressione del tutto sconosciuta qui a Pechino. Vi è la messaggistica instantanea, “ma a cosa serve un social network?”). Su WeChat si effettuano anche azioni sofisticate come un acquisto. Ma i mezzi di comunicazione tipici dei nostri tempi vengono bruscamente bloccati; ecco che vedo i limiti dello smart working: la nostra compagnia telefonica ci regala al “blocco” indetto dal governo cinese. Poca perdita in fondo solo qualche foto, tra templi, panda, piazze, vie, qualche diretta, proprio quando potrebbe nascere la voglia di farne una in un luogo come la Grande muraglia. Facebook qui non funziona col wifi e ho superato i 30 gb al giorno consentiti. Del resto non è in atto nessuna “Primavera araba”, nessuna repressione (vedi Hong Kong). Qui la vita sembra andare avanti bene: si controllano sullo Smartphone il meteo e la percentuale di polveri sottili, i grattacieli svettano. Il cielo è persino azzurro. C’è il traffico come in ogni metropoli. C’è tantissimo nuovo turismo interno; a Badaling sulla settima meraviglia del mondo solo orientali. Da turista, con la propria sim e il proprio piano tariffario avevo raggirato facilmente quel blocco sulla rete, molto più profondo diquanto avessi già immaginato dalla mia comoda scrivania a
Milano. Per poco. Pochissimo tempo: per 35 minuti in quattro giorni. Avrei raccontato comunque una Cina ‘respirabile’, la capitale ha spostato le sue industrie un pò fuori dal sesto anello. Ho notato, però, che qui i cinesi sorridono molto meno, sono più austeri che da noi, non sono frenetici e “lavorano con lentezza”, sono i dipendenti “del governo”. Questo cozza con l’altra metà del cielo, che fa i conti ogni giorno con il capitalismosfrenato, la finanza, l’immagine operosa. Pechino, in particolare, la capitale delle contraddizioni. È stato qui, davanti Piazza Tienanmen che ho scoperto di poter postare ancora immagini e ricevere notifiche sugli stessi social sconosciuti ai miei coetanei. Avevo pensato a un rilassante silenzio, “disconnessi”, ma ormai c’era il mistero della connessione, non capivo. Fin quando, con la password del wifi in mano, non mi si sono più aperte le porte, o meglio, le finestre. L’abitudine più lenta a morire: continuavo ad aprire il nostro principale browser: l’istinto di consultare la solita pagina, quanti secondi davanti a Google che non rispondeva a nulla, non cercava niente, come se a un tratto avessimo perso la nostra memoria collettiva. E wikipedia? Mi è rimasto il dubbio, funziona o no? Senza nessuna certezza sull’enciclopedia dei nostri tempi, con messanger che restava disconnesso, con le notifiche dei social che mi arrivavano senza possibilità di leggerle, senza più mezzi dove condividere i selfie, mi sono chiesta: che me ne faccio del wifi? Ho letto qualche mail,ho scritto su WeChat, ma ho solo due contatti attivi, di cui una è la guida a Chengdu, ho cercato informazioni utilizzando Bing. Perchè sforzandoci esistono le alternative. Cambiano i risultati. Questo è l’aspetto più interessante o inquietante. Da noi i social sono l’emblema di un secolo, ci hanno anche spinto a rivedere il modo di lavorare, sono pane quotidiano per
le aziende e i consumatori. A volte hanno interrotto le distanze facendo sì che gli stakeholders imparassero a parlarsi. Sono anche diventati, a torto, le piattaforme principali per le notizie. (E si può capire perchè, con la tempestività della “rete amicale” che nel condividerle un pò ce le avvicina, le rende più familiari). Ci sono i professionisti, i social media manager, i lavoratori cosiddetti nomadi digitali, i giornalisti che ormai non fanno a meno dei tweet e degli hashtag. Non mi dilungo oltre: Facebookche invecchia, come tutti gli album dei ricordi, google che risponde a ogni nostra domanda, Instagram che raccoglie le foto migliori, tweet che ci tiene aggiornati su scosse, trend, cinguettii come le veline e gli uffici stampa, tutti loro sono il nostro presente. Innegabile. Eppure città con milioni e miliardi di cittadini pur dotati di mezzi potentissimi, molti dei quali hanno persino contribuito a produrli, non ne conoscono l’esistenza. C’è vita fuori, e i “potenti della terra” si parlano addosso in un mondo che visto da qui sembra più ovattato. Play store? ovviamente qui non funziona. Non state perdendo anche voi un po’ l’equilibrio? Dal mio SmartPhone quindi non posso scaricare nuove app. Il mio gestore mi consiglia una scheda cinese. Il taglio del cordone ombelicale. Altro tassello della nostra idea 2.0 di libertà fa ciao ciao. L’illusione che ci fosse un’app per tutto a portata di mano mi si sgretola in tre giorni sotto i piedi. È innanzitutto smarrimento. Poi consapevolezza. Infine il disorientamento che diventa certezza, stiamo vivendo nel relativismo assoluto anche noi. Qui un giovane cinese che non ha mai caricato o scaricato un video su Youtube, la nostra tv diciamo oggi, ci mostra che anche noi siamo in una bolla, nell’illusione di essere connessi col mondo intero. Poi apro Bing, cerco il mio nome, per fare la prova e mi accorgo che metà dei contenuti non esistono più, scomparsi, invisibili a miliardi di cittadini cinesi, non ci sono più la maggior parte dei nostri video, il nostro profilo online, capisco
insomma che abbiamo dato in esclusiva a dei colossi la nostra vita. E che non raggiungiamo un pubblico enorme, non arriviamo a miliardi di potenziali utenti. Mi vengono in mente le paure di Donald Trump, verso la Cina. Forse due “blocchi” esistono ancora. E l’innovazione non è più a stelle e strisce. I treni ad alta velocità viaggiano nella Repubblica popolare, mentre le infrastrutture Usa perdono pezzi. L’Europa? gioca con stati solitari nella notte. Se non ho sbagliato a fare i conti, non ci appartengono neanche come europei i social a cui abbiamo legato così tanto le nostre conversazioni, la nostra idea di libertà. Intanto sono passata dalla capitale cinese all’internazionale Shanghai e qui Google funziona. Non capisco. Sono felice. Google map, google traduttore, … la Cina è grande e non è tutta uguale, è affascinante, fa ricerca, funziona, ha dei numeri da far girare la testa, sempre più spesso verso oriente.
I social network e le nostre abitudini, viste da Pechino
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