E’ il Matteo Renzi in maniche di camicia. Come ai vecchi tempi. Arriva a Imola un paio d’ore prima del comizio di chiusura della festa nazionale dell’Unità e saluta più persone che può. Gli agenti della sicurezza gli lasciano spazio e lui se lo prende tutto: stringe mani, scatta selfie, autografa magliette rosse e firma copie di Avanti, il suo ultimo libro. A Imola, Renzi torna Matteo. Il punto di riferimento dei circa 3mila militanti che, nonostante un acquazzone che lascia fango e pozzanghere, lo chiamano per nome e si radunano sotto al palco e davanti al maxischermo. Il discorso di chiusura della festa dell’Unità coincide con l’apertura della campagna elettorale del Pd in vista delle prossime politiche. Accanto a Renzi ci sono i ministri di Paolo Gentiloni, i deputati, i senatori, i volontari, i giovani, gli anziani: uno su tutti, l’ex partigiano Vittorio Gardi, 71 feste dell’Unità alle spalle, che l’ex presidente del Consiglio chiama “maestro”. Il discorso dura un’ora. Neppure il rombo dei motori delle auto che girano sulla pista nell’autodromo, che si trova appena dietro gli stand, prevarica sulla voce di Renzi. Che fa autocritica per alcuni errori commessi in passato, che attacca il M5s, la Lega Nord di Matteo Salvini e la ditta di Pier Luigi Bersani, che traccia le linee da seguire per una sinistra che s’ispiri a Barack Obama e che metta tre punti fondamentali nel programma di governo: casa, lavoro e mamme. Nessun passaggio, invece, sul Rosatellum e sullo Ius soli.
L’AZIENDA CHE FA SOFTWARE
Renzi viene introdotto dal sindaco dem di Imola, Daniele Manca. Poi si rimbocca le maniche e attacca il suo comizio. “Voi che siete il Pd, noi che siamo il Pd, non siamo dipendenti di un’azienda privata che fa software. Noi non scegliamo il capo sulla base di un principio dinastico, se ne va il padre e arriva il figlio: noi scegliamo il leader sulla base di un principio democratico”. Il secondo passaggio, sempre in riferimento ai grillini, è sui giornalisti. “Noi non li aggrediamo, ma diciamo loro buon lavoro. Il giornalismo, in una democrazia, è fondamentale”.
DA KIM A SALVINI
Renzi coinvolge direttamente il pubblico. “Immaginate di essere stati nove mesi su Marte e di essere tornati sulla Terra alla fine di gennaio: a Washington giura il nuovo presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, che fa un elogio del protezionismo mentre, nelle stesse ore, il presidente delle Repubblica popolare cinese, Xi Jinping, tesse l’elogio del libero mercato. Il mondo alla rovescia: gli americani che si chiudono nei loro confini e i cinesi che ci spiegano l’importanza del libero mercato”. Renzi riparte della Corea del Nord e arriva alla Lega di Salvini. “Siamo tornati ai tempi della guerra fredda, con un dittatore come Kim Jong-un che lancia allarmi a tutto il mondo. E pensare che in Italia c’è qualcuno che, di ritorno da quel Paese, disse di aver trovato uno straordinario senso di comunità. Parlo di Matteo Salvini. C’è andato con Antonio Razzi, in Corea. Quando si tratta di scegliere il ministro degli Esteri c’è chi punta su Razzi e chi s’affida a Gentiloni. Ecco qual è la differenza”.
LA BREXIT E L’ELOGIO A MACRON
Renzi parla dei terroristi dell’Isis, “cani sciolti che colpiscono e uccidono”, e arriva all’Ue. “Abbiamo bisogno di un’Europa con la E maiuscola. L’Europa si può contestare, ma quando si decide di lasciarla si fa fatica”, spiega il leader del Pd citando il discorso sulla Brexit che Theresa May ha tenuto nella sua Firenze. Poi elogia il presidente francese, Emmanuel Macron, autore, secondo il leader del Pd, di provvedimenti di renziana memoria. “Come prima cosa ha introdotto il Jobs act, come seconda il bonus cultura per i 18enni e, in seguito, ha proposto l’abolizione della tassa sulla prima casa. Macron, oggi, è un punto di riferimento”. Mentre Renzi parla, in Germania si vota. “Con tutta probabilità, vincerà per la quarta volta Angela Merkel. Ho letto l’intervista di un bambino tedesco che ha chiesto a sua madre: ma la cancelliera può essere anche un uomo?”.
NELLA TERRA DI BERSANI
Renzi si rivolge agli amministratori del Pd locali e nazionali. “Vi chiedo di uscire dalla modalità litigio. E’ ora di finirla con discussioni interne che lasciano il tempo che trovano. La modalità litigio mettiamola da parte: ora siamo in modalità campagna elettorale. Che cosa c’è oltre a noi? Tecnici della democrazia diretta che hanno organizzato una consultazione che qualcuno ha definito una farsa, ma nella storia della Magna Grecia la farsa era una cosa seria”, ha proseguito Renzi sulle primarie del M5s che hanno eletto Luigi Di Maio candidato a Palazzo Chigi. “Nel mondo delle valli bergamasche s’urlava Roma ladrona, la Lega non perdona”, è il secondo attacco del segretario dem al Carroccio. “Ora si sono portati via i diamanti in Tanzania e hanno comprato le lauree in Albania in una globalizzazione della truffa che ci fa dire Lega ladrona, Roma ti ha perdonato anche troppo”. Renzi ne ha anche per Bersani, pur senza nominarlo. “C’è qualcuno di noi, alla nostra sinistra o presunta tale, che ci ha educato alla storia di questa terra straordinaria, e che ci ha insegnato che le parole d’ordine erano collettivo, bandiera, ditta. E alla prima occasione ha lasciato il collettivo, la bandiera e la ditta per un risentimento personale che non ha ragione di esistere”.
UN SELFIE PER I POPULISTI
La seconda parte del comizio è dedicata al ruolo del Pd e ad alcuni errori che Renzi ammette d’aver commesso ai tempi di Palazzo Chigi. “Il Paese era in crisi e noi l’abbiamo preso per mano. Ora, ci aspettano mesi difficili. I populisti hanno perso ovunque e cercheranno di rifarsi nel nostro Paese. Oggi deve iniziare il secondo tempo del Pd, volto a costruire una proposta credibile che i populisti non possano imitare. Se vi fate un selfie, qui, ora, vedrete l’argine al populismo. Il Pd, oggi, ha questa responsabilità. Lavoro, casa, mamme: non possono essere slogan, perché con gli slogan sono più bravi gli altri. Devono essere proposte concrete”. Renzi si complimenta col ministro dell’Interno, Marco Minniti, uno dei più acclamati dalla platea. Poi, dopo aver elencato i successi del suo governo e dopo aver fatto un appello di unità sul voto sul Def, il segretario torna sulle riforme approvate dal suo esecutivo. “Spesso l’ho fatta troppo facile. Non facevamo in tempo a fare una riforma che già pensavamo a quella successiva, senza gustarcela. Col senno di poi, ho sbagliato: sono andato troppo di corsa. Ma nei tre anni trascorsi a Palazzo Chigi ho capito una cosa: forse non è così facile come vi ho raccontato, ma è possibile. L’Italia si può cambiare”. E può cambiare, secondo Renzi, solo “con noi, che siamo la sinistra di Obama e non quella di Fausto Bertinotti, che ha rotto il patto di governo e ha fatto vincere la destra”. La campagna elettorale del Pd, ieri, è iniziata con Renzi in maniche di camicia. Come ai vecchi tempi.