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Amazon, Apple, Facebook e Google. Tutte le metamorfosi finanziarie dei big

Di Fabio Pavesi
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Poco meno di 250 miliardi di dollari. Un mare di denaro sonante investito in titoli: dai Treasury americani a corporate bond di ogni latitudine, fino agli Abs in mutui residenziali. Non è la fotografia di un fondo sovrano dei Paesi arabi e neppure della branch d’investimento di una banca. E neanche di un grande fondo pensione. Chi sta in cima a quella montagna di denaro è un insospettabile quanto alla sua natura e alla sua mission aziendale. Quel grande fondo d’investimento globale si chiama Apple. Il colosso degli smartphone non è solo un grande protagonista della rivoluzione tecnologica, ma si è trasformato ormai in una sorta di holding finanziaria globale, grande come volumi un quarto del più grande fondo sovrano del mondo, quello del Governo norvegese.

Una metamorfosi formidabile con un’accelerazione significativa nel tempo. Una sorta di Centauro, un ircocervo, metà gigante dell’hi tech più innovativo, metà banca d’investimento. Un’iperbole definirlo una creatura chimerica? Non proprio. Basti pensare che quei 250 miliardi di dollari della “banca” Apple valgono il 72% dell’intero attivo di bilancio del gruppo di Cupertino. Gli iPhone, i notebook e gli apparati tecnologici che portano il marchio della mela non sono più, e non da ieri, il cuore pulsante della Apple. O meglio. Da lì dal suo business tipico arrivano tali e tanti flussi di cassa in eccedenza rispetto agli investimenti che Apple si trasfigura in un gigante finanziario deputato a gestire l’immensa liquidità che ogni anno residua, pagati sia i costi globali che gli investimenti per lo sviluppo.

La metamorfosi è stata così profonda ed è avvenuta in tempi recenti. Ha di fatto accompagnato la riscossa dei mercati post-crisi Lehman beneficiandola e beneficiandone. Più borse e bond salgono, più Apple vede arricchirsi il suo portafoglio titoli. Al tempo stesso gli investimenti fatti da Cupertino tendono a far salire il valore degli asset finanziari. Un circolo virtuoso.

Tanto per dare un’idea oggi Apple siede su un tesoro di ben 184 miliardi investiti a lungo termine cui si aggiungono 58 miliardi investiti in bond a breve, cui si sommano altri 18 miliardi di cassa liquida. Un forziere che come detto vale oltre il 70% del suo attivo; ma anche due volte l’immenso patrimonio netto (132 miliardi di capitale) e tre volte il debito. Nel 2008 investimenti finanziari e cassa pesavano solo per 23 miliardi di dollari. In un decennio l’azienda di Tim Cook ha moltiplicato per dieci la sua mole di investitore finanziario. Apple è solo la punta dell’iceberg, il caso più emblematico.

Tutta la Silicon Valley, tutti i big della Web-tech revolution sono divenuti nel tempo grandi fondi d’investimento. Google (oggi Alphabet) tra investimenti a breve, a lungo termine e cassa ha una potenza di fuoco di ben 100 miliardi: anche qui le dimensioni la dicono lunga sulla metamorfosi verso la holding finanziaria. Quei 100 miliardi tra bond e cassa valgono quasi il 60% di tutto il bilancio del re del Web. Nel 2008 la finanza occupava spazio per soli 15 miliardi.

E che dire di Facebook? La creatura di Zuckerberg nel 2010 non faceva attività finanziaria. Oggi investe a breve su titoli di Stato e corporate per 29 miliardi e ha cassa liquida per 6 miliardi. L’attivo è di 74 miliardi. Quasi metà delle attività a bilancio sono asset finanziari.

Amazon, il gigante dell’e-commerce, è passato da 900 milioni di attività finanziarie a breve, 10 anni fa, a 8,2 miliardi conteggiati nell’ultimo bilancio. Ma volendo c’è la cassa da 13 miliardi che difficilmente non verrà impiegata per investimenti più redditizi che non lasciata lì nelle casse societarie.

Anche eBay non sta a guardare. Oggi ha investimenti a breve per 6,4 miliardi e a lungo per 4,8 miliardi e gli rimane cassa libera per 2,6 miliardi. Anche in questo caso metà del bilancio è costituito da impieghi finanziari.

La “vecchia” Microsoft predilige l’esposizione a breve termine. Bond a due anni, rischio basso. Però quel rischio quasi a zero vale la bellezza di 121 miliardi su un bilancio che ne conta per 241.

Come si vede ormai i grandi colossi dell’hi tech si sono davvero trasfigurati in Centauri. Metà produttori di beni e servizi ad alto valore aggiunto, per l’altra metà grandi fondi d’investimento. Messi insieme questi sei primattori della rivoluzione digital-tecnologica siedono su un forziere di titoli che assommano a oltre mezzo miliardo di dollari, la metà dell’esposizione del fondo sovrano norvegese. Il doppio della capitalizzazione dell’intera Piazza Affari. E un decimo dell’attivo di tutta Blackrock, il più grande fondo d’investimento al mondo.

Chi compra un iPhone, un Pc; compra traffico e pubblicità su Google e Facebook non compra solo un bene o un servizio della new economy, si compra la buona e cattiva sorte della finanza mondiale. C’è un tema di rischio implicito che riguarda gli azionisti dei colossi del tech. Ovvio che la gestione sarà molto attenta al rischio. Non è un caso che Microsoft ad esempio investa solo sull’orizzonte dei due anni con i T-bond Usa. O che si scelga la strada tranquilla dei bond societari ad alto rating come Apple che dei sui 184 miliardi investiti a lungo, ne dedica ben 123 all’acquisto di obbligazioni corporate.

Ma c’è da chiedersi, nel caso del gigante della Mela, perché impegnare ben 20 miliardi in Abs sui mutui. Certo la tempesta è passata, non sono certo mutui subprime, ma qualche rischio in più lo portano. D’ora in poi non basterà, più per i colossi della tecnologia, valutare la bontà e la redditività dei loro prodotti e del loro business, ma andrà data un’occhiata anche al loro portafoglio finanziario.

I centauri del Web possono trasformarsi da ghiotta opportunità a rischio zero, data la mole ingente di flussi di cassa che producono ogni anno, a un problema se i mercati finanziari dovessero incontrare una nuova crisi.

(articolo tratto dal sito del Sole 24 Ore)

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