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Ape volontaria: molta spesa, poca resa

impresa, governo, femminicidio

Riepilogando gli aspetti principali dell’Ape volontaria, misura pensionistica sperimentale, scopriamo che costa un bel po’. L’Ape volontaria è un prestito commisurato e garantito dalla pensione di vecchiaia, erogato dalla banca in quote mensili per 12 mensilità, che il beneficiario otterrà alla maturazione del diritto. È riconosciuta in via sperimentale dal 1° maggio 2017 al 31 dicembre 2018 (articolo 1, comma 166 e seguenti, legge di Bilancio 2017). Sarà retroattiva e consentirà di andare in pensione a 63 anni di età con almeno 20 anni di contributi versati, in sostanza, con un anticipo di 3 anni e sette mesi rispetto ai requisiti richiesti per la pensione di vecchiaia.

L’importo della pensione per chi presenterà domanda di Ape volontaria non potrà essere inferiore a 1,4 volte il trattamento minimo, pari a 702,65 euro per il 2017. Può essere richiesta dai lavoratori dipendenti pubblici e privati, dai lavoratori autonomi e dagli iscritti alla Gestione separata. È importante anche sapere che per ottenere il beneficio è necessario non essere titolare di pensione diretta o di assegno ordinario di invalidità; e inoltre non è necessario cessare l’attività lavorativa. Per chi presenterà domanda di Ape volontaria sarà necessario pagare una rata sulla pensione futura, con un piano di ammortamento di 20 anni.

Dunque mentre l’Ape social è gratuita e può avere un seguito perché rappresenta uno strumento di sostegno al reddito (un vero ammortizzatore sociale) per fasce di lavoratori in difficoltà, perché disoccupati o perché svolgono lavori gravosi o vivono situazioni di disagio, perché disabili o perché assistono parenti disabili, l’Ape volontario è completamente un’altra cosa. Il meccanismo, nella sua versione volontaria e aziendale, è quello del prestito corrisposto a quote mensili, per i /le lavoratrici  che hanno 63 anni di contribuzione  che conquistino le condizioni per la pensione di vecchiaia (in linea generale 66 anni e 7 mesi) entro tre anni e 7 mesi.

Un traguardo a partire dal quale scatterà la restituzione di quanto ottenuto «con rate di ammortamento mensili per una durata di venti anni». Il costo medio  è del 4,6%-4,7% per ogni anno anticipato rispetto all’età di vecchiaia. L’onere da sopportare per venti anni è molto molto robusto: pagare per lasciare in anticipo il lavoro di tre anni, se non si è costretti, per chi prende una pensione netta di 865 euro significa dover sborsare 150 euro circa mensili; più di 200 per un assegno netto mensile di 1.280. Per ben venti anni  dunque con le istruzioni per l’uso  che prevedono la presentazione della domanda  all’Inps in modalità telematica, direttamente o tramite intermediari autorizzati con allegata certificazione di diritto all’Ape.

L’Inps verificherà il possesso dei requisiti di legge, e, nel caso, comunicherà al richiedente l’importo minimo e massimo del prestito ottenibile. Poi la persona dovrà presentare all’Inps domanda di Ape e domanda di pensione di vecchiaia da liquidare al raggiungimento dei requisiti di legge. Il contratto di prestito comunque andrà stipulato con la banca e con l’assicurazione individuate e per quanto riguarda i dipendenti pubblici  che lasciano il servizio, dovrebbero comunque aspettare almeno due anni per ottenere la buonuscita. In buona sostanza: molta spesa, poca resa!


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