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L’astro di Macron è già in fase calante?

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L’astro nascente Macron, in Francia, ha spiccato il volo oppure no?

Dopo un breve periodo di euforia, le sue ali sembrano ormai appesantite. Ha affrontato subito i temi più scomodi delle sue promesse elettorali (per non rimandarli a tempi e periodi elettoralmente più impegnativi): tra tutti, la riforma dello statuto dei lavoratori (divenuto un ritornello in questa Europa) e il taglio delle risorse agli enti o comunità territoriali. Sono argomenti delicati che non possono essere “aggrediti”, a meno di non avere la certezza di poterli risolvere definitivamente con la forza parlamentare.

Lo statuto dei lavoratori (“code du travail”) aveva già avuto dei cambiamenti “liberistici” negli ultimi tempi (2017 governo del socialista Valls , con la legge El Khomri);ora la strada intrapresa dal nuovo presidente è decisamente diretta verso una vasta liberalizzazione, con una specie di miraggio “americano”. Bisogna peraltro ricordare che gli Usa e la Francia hanno come valore comune solo quello dell’economia di mercato(con alcune eccezioni in Francia). Sul lavoro il primo “code du travail “ francese data 1910, mentre in America ancora si faceva a pistolettate. In Francia lo Stato sociale ha una matrice storica, strutturata nella vita del Paese. Ha costi enormi, ma è difficile riformarlo in senso liberale o socialista, senza una paziente opera di confronto e di mediazione. Contro i metodi sbrigativi decisionisti in materia si schierano sia i conservatori che non vogliono cambiare le cose; sia i riformisti che vogliono miglioramenti dello Stato sociale. Quindi la nuova Legge del lavoro, decretata dal Presidente, con tanto di telecamere e ministri al seguito, non sembra piacere ai francesi, né nella sostanza, né nella forma (messa in scena televisiva).

Alla ricerca di soldi, Macron ha cominciato a tagliare le spese per gli enti locali, convinto della loro scarsa efficienza. Ma forse ha sparato con un cannone ad un uccellino, irritando le autonomie territoriali che costituiscono la nervatura della Francia “profonda”. In coro, anche in questo caso, si chiede al capo dello Stato più prudenza e più politica, con trattative e partecipazione.

Gli effetti di questo primo periodo di presidenza Macron non si sono fatti attendere. Negli ultimi quattro mesi egli infatti ha perso 14 punti, nell’indice di popolarità, dal 58 al 44%. La sua opposizione di sinistra guidata da Melanchon è scesa in piazza , assieme ai sindacati, al grido di “opposizione sociale” al governo , visto che con l’attuale sistema elettorale, l’opposizione parlamentare è ininfluente: la sinistra ha solo 27 deputati (17 Melanchon e 10 i comunisti ) e la destra nazionalista (8) su un totale di 577. Macron ha risposto che non sarà la piazza a decidere sul governo del Paese. Ma la protesta non si ferma; sono entrati in sciopero i distributori di carburanti, creando immediatamente grandi problemi per i trasporti. Sono previste altre manifestazioni, altri scioperi, in un braccio di ferro tra potere e opposizione decisivo per il futuro della Francia.

Nel frattempo ci sono state le elezioni per il rinnovo della metà dei senatori; si tratta di una elezione di secondo grado; 75mila grandi elettori, soprattutto consiglieri comunali della Francia rurale e delle piccole e medie città, hanno votato; questo il risultato: il presidente aveva 29 senatori su 348 e gliene sono rimasti 25; la destra repubblicana è passata da 142 a 151; i socialisti, che sembravano in via di estinzione (avendo messo in vendita anche la loro sede storica di rue Solferino) non sono crollati, passando da 88 a 69 senatori. Non che il Senato conti molto nella gestione governativa del Paese (in sede legislativa in caso di conflitto l’ultima parola spetta ai deputati dell’Assemblea Nazionale), ma questo voto ha almeno due effetti importanti; il primo è che il presidente non ha tutto il seguito che pensava di avere, nonostante l’appoggio di gran parte dell’apparato socialista e centrista; il secondo è che, in caso di riforma costituzionale ( prevista nel programma di Macron), c’è bisogno di una maggioranza di 3/5 nel Congresso che riunisce deputati e senatori; questa maggioranza è ben lontana dai voti di cui Macron oggi può disporre: e quindi si profila la necessità di un eventuale referendum costituzionale, assai problematico per le stesse sorti del presidente.

Ci sarà un santo protettore di Macron? È probabile, anche se vale la pena di ricordare che nelle ultime due elezioni presidenziali francesi furono eliminati, attraverso curiosi espedienti giudiziari, i due candidati che sembravano avere già la vittoria in tasca: Strauss-Khan nel 2012 e Fillon nel 2017. Staremo a vedere: “piazza” e giudici.

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