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Chi, come e perché mugugna sulla Banca dei Brics

mediterraneo daghestan, Russia, Putin

Assieme all’Asian Infrasctructure Investement Bank, la New Development Bank, meglio conosciuta come la banca dei Brics, si è posta come alternativa al sistema finanziario nato a Bretton Woods nel dopoguerra. Nella pratica, tuttavia l’istituzione nata con gli accordi di Fortaleza del 2014 tra Brasile, Russia, India, Cina e Sudafrica rischia di deludere le aspettative create.

Un rapporto pubblicato da China Dialogue  alla vigilia del summit tra le potenze emergenti, che i cinesi ospitano a Xianmen dal 3 al 5 settembre, ha messo in riga i timori dal basso, ossia tra la società civile di alcuni dei Paesi coinvolti, sul funzionamento dell’istituto e in particolar modo sulla strategia “verde” che dovrebbe contraddistinguerne l’azione.

Entro l’anno la New Developement Bank ha in programma l’approvazione di 15 nuovi progetti per un valore di 3 miliardi di dollari. A oggi ha già dato luce verde a prestiti per 1,5 miliardi nelle energie rinnovabili. In base alla strategia quinquennale dell’istituto, circa i due terzi dei finanziamenti che saranno concessi saranno dedicati a infrastrutture sostenibili. E nell’attuale portafoglio sei progetti su sette riguardano le fonti rinnovabili. Non ultimo, lo scorso anno l’istituzione ha emesso il suo primo green bond per un ammontare di 3 miliardi di yuan, pari a circa 448 milioni di dollari.

A preoccupare le organizzazioni della società civile è però il futuro, nonché la mancanza di adeguati canali di comunicazione e dialogo per discutere dell’impatto dei progetti approvati. Gli osservatori esteri si domandano inoltre se i potenziali nuovi membri della Ndb possano dare garanzie sufficienti in materia di tutela sociale e ambientale. Al momento comunque, i cinque attuali membri, in misura più o meno adeguata hanno sistemi che rispondono ai timori delle organizzazioni.

Altro punto interrogativo è la capitalizzazione della banca che in teoria doveva essere il punto di forza dell’istituzione. Per il professor Biswajit Dhar, del centro per gli studi economici e la pianificazione della Jewajarlal Nehru University, si teme infatti che Cina, Brasile, Russia, India e Sudafrica non tengano fede agli impegni presi. Nell’ultimo anno l’istituzione, il cui capitale di partenza è stato fissato a 50 miliardi di dollari, ha infatti dovuto fare ricorso al mercato per portare avanti il proprio mandato.

In un’intervista allegata al rapporto il vicepresidente dell’istituzione Leslie Maasdrop tenta comunque di rassicurare gli investitori. La scelta di concentrare quasi interamente i primi progetti verso le energie rinnovabili, spiega il funzionario, indica la volontà dei Brics di seguire un percorso a basso utilizzo i carbone. Dice inoltre di puntare sul rafforzamento dell’attuazione degli standard ambientali, li dove, come ad esempio in Cina, spesso non vengono rispettati benché le politiche adottate siano rigide e innovativi Nei prossimi due anni infine la Ndb punterà a sviluppare una propria strategia sulle acque e sui trasporti sostenibili.



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