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Baudino stuzzica l’appetito dei lettori con il suo “Lei non sa chi sono io”

 

E’ uscito per l’editore Bompiani “Lei non sa chi sono io” di Mario Baudino. Mario vecchio caporedattore delle pagine culturali della Stampa ha lavorato molto a questo testo che è un saggio romanzato sulla pratica e persino il culto dello pseudonimo nella letteratura. Ma tutto il libro è movimento, sorprese e un lungo gioco a rimpiattino dove da quinta di fondo vi è il mondo odierno delle fake news e della fake era. Ma andiamo con ordine.

Romain Gary è stato una di quella figure pubbliche che la Francia ha saputo esaltare nel Novecento: pilota di guerra (come Saint-Exupéry e André Malraux), eroe gollista, dandy, va da sé, elegantissimo e provocatorio, carisma indiscutibile, belle donne e vita inimitabile, o quasi. Si uccise con un colpo di pistola nella casa di Rue du Bac, a Parigi, il 2 dicembre 1980, uscendo alla sua maniera da un’esistenza dove soltanto sesso e letteratura gli parevano offrire qualche spunto di significato. Era trascorso poco più di un anno dal suicidio della seconda moglie, dalla quale ormai viveva separato da tempo pur avendo conservato rapporti di grande amicizia: l’attrice Jean Seberg, indimenticabile protagonista di A bout de soufflé. Aveva sessantasei anni, e morendo completò l’edificio per la sua leggenda critica. Oppure, se vogliamo, il suo “romanzo totale”.

Pochi mesi prima aveva scritto una breve memoria, che il 30 novembre spedì all’editore Gaston Gallimard perché la pubblicasse postuma. Si intitolava Vita e morte di Emile Ajar e terminava con un saluto piuttosto ironico: “Mi sono davvero divertito. Arrivederci e grazie.” (Ajar era stato in realtà per sei anni il suo doppio, un autore completamente inventato. Lui era un uomo maturo, Ajar un immaginario giovane “arrabbiato” che viveva in Brasile per via di certi conti irrisolti con la giustizia francese.)

L’incipit non poteva essere più scoppiettante: Romain Gary infatti vinse un Gouncourt nel 1956 con “Le radici del cielo” e divenuto Emile Ajar replicò trionfalmente con “La vita davanti a sé”. Nel primo dei suoi undici capitoli, Baudino collega con un avvicinamento degno dei migliori giallisti Romain Gary alla Ferrante. Bisogna infatti ricordare che lo scrittore avanza l’ipotesi letteraria che la Ferrante sia Anita Raja ma che Raja rivoltato è appunto Ajar.

Il libro è leggibile per così dire a dispense. Ogni capitolo narra una storia più curiosità ed anche motivazioni le più svariate che possono portare all’uso dello pseudonimo. La più affermata è quella tutta pirandelliana di essere uno, nessuno e centomila. Ma ve ne sono anche altre di natura più squisitamente difensiva sia riferito ai servizi segreti sia a religioni e cognomi scomodi sia all’evidente desiderio di stupire e scandalizzare come nel caso di George Sand.

Nella classifica degli pseudonimi senz’altro Henri Beyle ovvero Stendhal li batte tutti arrivando alla frenetica produzione di ben 350. Stendhal è in realtà il nome di una città prussiana scelta perché probabilmente fa rima con scandal e con questo nome Henri Beyle pensava di raggiungere la gloria e di gloria vera si tratta: da il Rosso e il Nero alla Certosa di Parma a Lucien Leuwen tutti di romanzi straordinari e che hanno segnato la storia universale della letteratura. Protettori, amanti di rango pronte a qualsiasi cosa per lui completano il personaggio, ma non aggiungono nulla alle straordinarie capacità letterarie di Stendhal perché due sono le osservazioni di fondo che paiono emergere dalla analisi di Baudino. La prima: gli pseudonimi portano fortuna? Ebbene signori miei senz’altro si nella gran parte dei casi. Questo è quanto spiegano del trame del libro. Secondo: sono tutti grandi autori coloro che adoperano uno pseudonimo? Qui la risposta che il nostro ci da è più articolata. La galleria sterminata di autori che esso cita fanno propendere per il si ma vi è poi quasi una sorta di internet surreale, il mondo sconosciuto di milioni di “scriventi” che viceversa nessuno conoscerà mai, pseudonimi o no, che si perdono nelle vie lattee della carta stampata.

Ma torniamo al nostro testo. Dicevamo che può essere letto a dispense: Ernest Hemingway che sponsorizza per il Nobel “quel meraviglioso scrittore di Isak Dinesen” che altri non era se non Karen Blixen, la splendida storia di Historie d‘O di Pauline Réage dietro cui si nascondeva una traduttrice (ahi ahi queste traduttrici n.d.r.) come Dominique Auly. Certo è indubbio che i testi affrontati in questo libro sono tanti e così avvincenti e così da libreria stregata che ci permettiamo di annunciare una nostra modestissima teoria: Mario Baudino ha voluto invogliare i lettori a leggere Stendhal e Orwell, la Ferrante e Karen Blixen, Natalia Ginzburg e Alberto Moravia per dire a tutti noi di leggere, leggere, leggere, e se poi la via faticosa della lettura è allietata ogni tanto alla fonte riposante della ricerca scherzosa su l’equipe Ferrante o su Romain Gary diciamo a Baudino che di scrivere questo libro è valsa la pena.


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