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Perché siamo ancora nelle mani delle banche centrali. Parla De Novellis (Ref)

Draghi, bce, fintech, Mario Draghi

L’ultimo anno è stata un’eccellente lezione di economia per tutti noi. E se la situazione in Europa è andata meglio del previsto bisogna ringraziare Donald Trump. Nel suo intervento alla presentazione dell’ultimo rapporto di Confindustria dedicato agli scenari economici la scorsa settimana, Fedele De Novellis, macroeconomista del centro studi Ref, spiega perché a suo avviso sia cambiato il profilo del 2017. “Tutti gli scenari erano prudenti, nessuno avrebbe scommesso su quello che abbiamo poi osservato. Della ripresa l’Unione europea deve ringraziare Trump: il rischio politico si è spento, la “trumpnomics” è rimasta solo nei programmi, ma nel frattempo le banche centrali – spaventate – avevano reagito mettendo in atto anche quest’anno la politica monetaria espansiva di cui c’era bisogno. Se la politica monetaria fosse stata quella che ci si aspettava – ammette – saremmo andati vicino alla deflazione”. Oggi invece, prosegue De Novellis, “la crescita è maggiore, i mercati vanno meglio, l’inflazione è più bassa di quello che prevedevamo”. L’anno in corso sta sfruttando, oltre al rientro dell’incertezza sugli scenari politici – quello statunitense ma anche il post Brexit -, il basso prezzo del petrolio, la ripresa della domanda internazionale, la debolezza dell’euro.

L’ITALIA

In particolare, per quanto riguarda il nostro Paese, si nota che dal 2015 la produzione industriale dà buoni segnali con una ripresa che si basa sul ciclo dell’auto, sull’export, sugli investimenti in macchinari. Di sicuro, chiarisce De Novellis, c’è una differenza tra il settore industriale e il resto dell’economia che è in difficoltà se si esclude il turismo. Altre note negative arrivano dai consumi di beni non durevoli “che annaspano” e dalle costruzioni “che restano indietro”. “La differenza tra industria e altri settori probabilmente si associa anche a quella fra grandi imprese e piccole imprese. Al netto dell’effetto turismo, poi, prosegue il divario tra Nord e Sud”. Non c’è dubbio, insomma, che al momento “le componenti di domanda che stanno attivando il ciclo economico sono soprattutto a favore dell’industria. Anche i servizi che crescono sono in buona misura trainati dalla crescita industriale, oltre che dall’effetto positivo del turismo”. E se il Pil nel complesso “va meglio” – nel 2017 è atteso a +1,5% – pure è “ancora in ritardo rispetto alle altre economie dell’area euro”.

SCENARI FUTURI

Per il futuro, si comincia a riflettere su quanto potrà accadere quando la Bce interromperà il Quantitative Easing: “La soluzione migliore – spiega De Novellis – sarebbe quella di avviare un percorso di crescita a ritmi elevati. Perché – si domanda – non si può fare come altri Piigs, come la Spagna o come l’Irlanda o come il Portogallo che comincia a dare segni di vivacità?”. Il contesto continentale peraltro può darci una mano ad alzare i ritmi bassi della ripresa italiana. “Lo scenario che tutti prevediamo – prosegue l’economista – è una fase di 3-4 anni in cui il ciclo europeo resta vivace e ci sostiene”. Secondo De Novellis però i rischi non mancano: “il vero problema non è solo il valore centrale della previsione, cioè quanto cresceremo nei prossimi anni, speriamo molto, ma anche qual è la probabilità che tra 2-3 anni ci possa essere per qualche motivo un’altra recessione internazionale, si tratta cioè di stabilire la probabilità di deviazione dallo scenario centrale”. Anche per questo, conclude, “la scelta di ripartire, indipendentemente dal ciclo internazionale, non è un’opzione ma è l’unica che possiamo mettere in campo come Paese”.


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