Anche se, come tradizione vuole, mons. Mario Delpini diventerà a tutti gli effetti arcivescovo di Milano soltanto domenica 24 settembre, vigilia della Solennità di Sant’Anatalo e di tutti i Santi Vescovi Milanesi (con la tappa all’antica basilica di Sant’Eustorgio e l’ingresso nella cattedrale), è a partire dalla celebrazione in Duomo di questa mattina, sabato 9 settembre, che il neo-presule ha formalmente preso il possesso dell’arcidiocesi di Milano. Cerimonia comprendente anche la presa dei voti perpetui di due giovani donne, suor Anna Casati e suor Giusi Valentini.
LE PAROLE DI SALUTO ALLA DIOCESI DI MILANO DEL CARDINALE SCOLA
Ieri sera invece, venerdì 8 gennaio, festa della Natività della Beata Vergine Maria, il cardinale Angelo Scola ha celebrato l’ultima messa prima della conclusione del suo mandato. “Non dimenticarti di Dio, avevo raccomandato alla nostra città all’inizio del mio ministero in mezzo a voi, perché Dio è con noi”, ha detto Scola nel suo saluto alla città e alla diocesi che ha guidato per sei anni, di fronte a un duomo gremito e commosso. “Questa memoria è ancora viva” ma “non sempre sappiamo vederne l’enorme potenziale di speranza e di costruzione di vita buona, cioè bella, vera e giusta”, e “di conseguenza spesso non riusciamo a farlo scoprire ai giovani”. Scola, nel suo congedo, ha voluto indicare i “tanti segnali di rinascita” di Milano, come “la sua grande capacità di accoglienza, al di là di comprensibili sacche di paura”, o “il gusto del paragone e del confronto tra quanti praticano diverse visioni del mondo. Fenomeni imponenti se si considera il processo di mescolamento in atto, in modo massiccio, anche sul nostro territorio”. Ma, ha aggiunto, “avverto l’urgenza di dire con franchezza che questo non basta”.
LE TRE PRIORITÀ DI MONSIGNOR DELPINI
Mons. Delpini invece, parlando venerdì ai microfoni della Radio Vaticana, ha spiegato quali sono le priorità del suo mandato. Interrogato dalla giornalista Antonella Palermo su quali sono le “tre urgenze che vivono i milanesi oggi”, Delpini non ha avuto dubbi nell’indicare come “urgenza prioritaria” il “riferimento a Dio”, “tanto più urgente quanto meno la gente lo percepisce”, e il cui “esito” è “lo smarrimento riguardo alla speranza e la perdita di stima di sé, del non sentirsi vivi per uno scopo, una vocazione, una missione”. Subito dietro a questo, “l’urgenza del lavoro”, “perché Milano è sempre stato un luogo di grande laboriosità, e mi pare che anche in questo periodo la crisi ha segnato duramente tutto un sistema produttivo”. Terza priorità, “l’impegno a creare un tessuto di buon vicinato, dove tutta la gente che vive nel territorio impari a conoscersi, ad avere un sentimento solidale dove ci si aiuta, vincendo l’anonimato e la solitudine, che sono alcune delle malattie più diffuse nella metropoli”.
IL SENSO DELLA CHIESA IN USCITA PER IL NUOVO ARCIVESCOVO DI MILANO
Alla domanda su come proseguire nel solco della “Chiesa in uscita”, inaugurato da papa Francesco, Delpini ha replicato: “È un richiamo che ha avuto molta eco, e forse il rischio è che diventi un’espressione retorica poco comprensibile”, ha detto il nuovo arcivescovo. “Perché mi sembra che la Chiesa di Milano è caratterizzata dall’essere capillarmente presente sul territorio”. Perciò “credo che il richiamo del Papa alla Chiesa in uscita è un richiamo alla conversione, di un atteggiamento che deve vincere le paure e le inerzie”. Sulla sfida dell’immigrazione, ha spiegato che è una “problematica complessa, perché è in atto la tendenza a fare di tutta l’erba un fascio. A Milano gli immigrati ci sono da decenni, lavorano, sono una presenza necessaria in alcuni settori, e credo che non potremmo fare a meno di loro. Forse l’intera società milanese si sgonfierebbe, vista la riduzione anche delle nascite, se non ci fossero altri che vengono da altri Paesi, magari di seconda o terza generazione”. Argomento, quello degli stranieri che colmano il problema della denatalità, molto diffuso, anche dallo stesso Papa, ma non sempre condiviso.
IL TEMA IMMIGRAZIONE VISTO DA MONS. DELPINI
Delpini ha specificato tuttavia che il tema dell’immigrazione non va confuso con quello dei profughi, “capitoli molto diversi”: “Io credo che Milano ha accolto molti immigrati, dal sud negli anni ’60, adesso dall’oriente dell’Europa, dall’estremo Oriente, dal Sud-america, dall’Africa. E mi pare che percorsi di integrazione significativi siano stati avviati e sono in atto: nella scuola, nella Chiesa, nella società civile”. Tuttavia, “il problema dei profughi è diverso, e effettivamente deve forse essere ripreso da capo. Mi sembra che si dovrebbe trovare proprio un altro modo di affrontare la questione rispetto a quello che si sta attuando adesso”. Ovvero “senza l’animosità e le paure, che però sono del resto inevitabili, ma con una modalità più pacata e più persuasiva”. Perché “queste soluzioni di emergenza mi pare che non siano tanto convincenti, lasciano troppe energie inutilizzate, non investono molti soldi in un’opera capace di affronterà la questione in modo promettente”. Perciò, in definitiva, ha chiosato Delpini, “serve una riflessione sul tipo di società che l’Europa vuole essere domani. La democrazia continuerà ad essere un modo di organizzare la società civile se si rivelerà capace di essere costruita insieme”.
L’EREDITÀ DELLA DIOCESI MENEGHINA
“Mi sento inadeguato a raccogliere l’eredità di un episcopato così straordinario”, ha poi ribadito ancora una volta. Ricordando i suoi predecessori, del cardinale Colombo ha specificato di voler “custodire l’impostazione organizzativa, coerente con la tradizione e che si adegua alle necessità di una strutturazione”. Riferendosi al cardinal Martini , “mi ha insegnato l’intensità nel leggere la parola di Dio e l’abitudine a vivere una dimensione spirituale profonda, mai reattiva in modo spontaneo e affrettato, ma sempre coltivando una capacità di meditazione, di riflessione, di interazione. Con quell’arte di far emergere il meglio che c’è, di dare fiducia”. L’eredità “preziosissima” del cardinale Tettamanzi è invece quella di “una cordialità vicina alle persone”, e del saper “individuare alcune urgenze e ferite presenti nel territorio”. Una lettura “che spinge a un rilancio della missione, mettendo in atto delle riforme, con dei cantieri aperti”. Il cardinal Scola, infine, ha concluso Delpini, “lascia in eredità la consapevolezza di dover fare i conti con la modernità, e di dover custodire il tesoro del magistero ecclesiale con l’impegno adatto a documentarne la bellezza”.