La tempesta politica che, con le elezioni di ieri, ha investito la Germania, che agli occhi di tanti era il paradigma della stabilità e della affidabilità, è destinata ad avere vaste ripercussioni sia all’interno che in Europa. Quindi anche sul nostro Paese. Ripercussioni non necessariamente negative, anzi per alcuni versi positive, anche se esse porranno alla nostra classe dirigente delle sfide non semplici.
La novità maggiore è che per la prima volta vi saranno, alla destra del partito Cristiano Democratico e del suo alleato tradizionale, la Csu bavarese, non una ma due forze politiche che hanno preso oltre il 10% dei voti ed hanno fra 70 e 100 deputati ciascuna. Si tratta dei liberali che tornano in Parlamento da posizioni più di destra che in passato e della AfD che è nata dalla questione dell’immigrazione e dall’ostilità per la Unione monetaria europea e la moneta unica.
Sia che la signora Merkel riesca a formare un governo con i verdi e con i liberali, sia che invece si torni alla grande coalizione con i socialisti, che pure sono reduci da una sconfitta elettorale drammatica, la politica del governo tedesco cambierà nella direzione che è stata dettata dall’elettorato con il successo di liberali e AfD. Cambierà sui temi dell’immigrazione, dove Merkel ha pagato cara l’apertura, seppur limitata, delle frontiere lo scorso anno. Ma cambierà soprattutto sulle questioni europee. Anzi, per modificare meno la politica sull’immigrazione, Merkel dovrà concedere di più sulle questioni europee. Il presidente francese Macron si preparava in queste settimane a lanciare delle proposte concordate con la Germania per una maggiore integrazione europea. Dovrà quasi certamente dimenticarsene. I liberali non vogliono sentire parlare di solidarietà di bilancio in Europa e ancor più di loro non vogliono sentirne parlare gli esponenti della AfD. Gli uni e gli altri, ma anche molti esponenti della Csu, vogliono che la Bce interrompa gli acquisti dei titoli pubblici e consenta ai tassi di interesse di salire.
Del resto, dal punto di vista degli interessi tedeschi, che non coincidono con gli interessi dell’Europa monetaria, la richiesta di aumentare i tassi di interesse è pienamente giustificata. La Germania non ha bisogno di tassi di interesse bassi: è alla piena occupazione. Anche se un aumento dei tassi di interesse comporterà una rivalutazione dell’euro, la Germania non ha di che preoccuparsi. Possono soffrirne marginalmente le industrie esportatrici che peraltro già producono un enorme attivo commerciale, ma se ne avvantaggeranno i profitti perché le materie prime costeranno meno e i prodotti saranno venduti a prezzi più alti.
Su questi temi la Bce è ormai sotto pressione da diversi mesi da parte degli ambienti finanziari tedeschi, ma anche da parte di esponenti del partito di Merkel. E’ molto difficile che Draghi, che ha già dichiarato che a partire da ottobre la Bce discuterà di come modificare il programma di acquisti di titoli pubblici, possa rinviare a lungo l’aumento dei tassi.
Questo è il quadro che sembra delinearsi per ciò che riguarda le prospettive di intesa europee sul futuro dell’Unione monetaria e sulla politica dei tassi di interesse e le quotazioni internazionali dell’euro. Questi sviluppi avverranno probabilmente con una certa gradualità, ma sono destinati ad avverarsi.
Come impatterà tutto questo sul nostro Paese? Quali conseguenze vi sarannno e cosa si dovrebbe fare?
Pongo fra le conseguenze positive il rallentamento o la fine dei discorsi sul cosiddetto “passo in avanti” nella costruzione dell’Unione monetaria. Non è un male che il progetto sul quale stavano lavorando segretamente Francia e Germania subisca una battuta di arresto. La Germania aveva già spiegato che qualsiasi passo in avanti – per esempio la creazione di un ministero europeo delle finanze – doveva essere accompagnato da un controllo più severo e più efficace sui bilanci nazionali. Essa avrebbe insistito sulla possibilità di affidare a un qualche organismo tecnico e non politico un controllo sui bilanci nazionali. Essa aveva inoltre spiegato che era indispensabile anche limitare gli acquisti di titoli pubblici di un Paese da parte delle banche di quello stesso Paese, in maniera da rendere inevitabile una politica fiscale restrittiva. Dunque il cosiddetto passo in avanti significherebbe (o avrebbe significato) un ulteriore rinuncia a una sovranità di politica economica già gravemente compromessa dalla unificazione monetaria.
Da questo punto di vista, se gli sviluppi tedeschi porteranno a una pausa di riflessione, cioè a un rinvio di decisioni che renderebbero ancora più difficile la situazione italiana, tanto meglio. Con buona pace di tutti quelli che in queste settimane incitavano il governo a mettersi al passo delle trattative (per altro condotte per loro conto) fra Francia e Germania. Quindi un sospiro di sollievo.
Nello stesso tempo, però, ci sono altri problemi all’orizzonte. Il primo è l’aumento dei tassi di interesse, che, come si è detto, è pressoché inevitabile (salvo nella scelta dei tempi su cui Draghi può esercitare ancora una qualche influenza). E quindi i problemi di finanza pubblica che immediatamente ne deriveranno per un Paese con il debito pubblico come il nostro. Il secondo rischio, collegato al primo, è che mentre può venir meno l’ipotesi di un controllo europeo sui bilanci, aumenta il rischio di un giudizio dei mercati finanziari sulla sostenibilità del nostro debito pubblico. Vi è il rischio, cioè, che al primo segno di un aumento dello spread, potremmo trovarci in serie difficoltà.
Dunque il bilancio complessivo delle conseguenze economiche per noi delle elezioni tedesche è fatto di luci e di ombre.
Quel che è certo è che la nuova situazione tedesca richiede una seria riflessione sulla politica economica italiana. Il Documento di aggiornamento del Def, presentato ieri dal Governo, andrebbe rivisto oggi. Al di là delle affermazioni generiche sul lento progresso di cui facciamo esperienza, bisogna mettere in campo una strategia economica di breve e di medio periodo. Se poco potevamo attenderci in passato dalla solidarietà della Germania e del resto dell’Europa, ancor meno potremmo attendercene oggi. E’ dunque il momento di crescere e fare fronte ai nostri problemi con le nostre forze.