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Perché Macron dopo le elezioni parziali del Senato è meno baldanzoso

Dopo il trionfo alle legislative e alle presidenziali della primavera scorsa, il percorso di Emmanuel Macron non si sta rivelando facile. Ieri per il presidente è arrivata la prima batosta elettorale: il voto dei “grandi elettori” per rinnovare metà del Senato, infatti, ha indebolito La République En Marche (Lrem) che non solo non ha raddoppiato i seggi, come sperava, ma ne ha perso uno.

I NUMERI

All’Assemblea Nazionale il partito presidenziale ha la maggioranza assoluta dalle elezioni generali della scorsa primavera, ma dal voto per la camera alta la formazione centrista è uscita fortemente incrinata, con solo 28 senatori. I socialisti, da mesi in grande difficoltà, si sono ritrovati con 81 seggi perdendone cinque, mentre a uscirne rafforzata è stata la maggioranza di destra: i Republicains da 142 sono arrivati a 159 membri (su 348 in totale), mentre il Front National è rimasto con due senatori. In Francia la metà dei seggi dei senatori vengono rinnovati ogni tre anni a suffragio indiretto da un collegio di grandi elettori, 76.359 quest’anno. Ieri quasi 1.996 candidati – un record – erano in lizza per circa 171 posti in gioco al Senato.

PERCHE’ MACRON HA PERSO

La sconfitta di En Marche era prevista, ma non in queste proporzioni. I grandi elettori, protagonisti di questo voto, sono per la maggior parte amministratori locali (consiglieri comunali, dipartimentali e regionali) usciti dalle amministrative del 2014. All’epoca il partito di Macron non esisteva ancora e questo spiegherebbe gli scarsi risultati, insieme ai tagli agli enti locali.

“I GRANDI ELETTORI VOGLIONO UNA SVOLTA”

“I grandi elettori hanno chiaramente espresso la loro volontà di vedere una svolta in parlamento, indispensabile per un funzionamento equilibrato della democrazia”, ha detto Gérard Larcher, leader di Les Républicains rieletto negli Yvelines, presidente uscente del Senato e grande favorito per una riconferma.

LE CONSEGUENZE DEL VOTO

La missione di Macron adesso è cercare alleati. La posta in gioco di questa elezione era la maggioranza di tre quinti in entrambe le camere, voti di cui il presidente aveva bisogno per attuare le riforme costituzionali, tra cui il piano di riorganizzazione del parlamento, senza ricorrere al referendum. Anche se in caso di disaccordo il parere dell’Assemblea prevale su quello del Senato, la camera alta ha una funzione di controllo sull’esecutivo e mantiene prerogative cruciali nel processo di approvazione delle leggi. D’ora in poi, dunque, il presidente avrà la vita un po’ più difficile nella politica quotidiana e per finalizzare ogni proposta dovrà assicurarsi l’aiuto di altri gruppi.



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