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Il sindaco M5S di Bagheria e il caso degli abusi edilizi

Una delle tre questioni rispetto alle quali il sindaco del Movimento Cinque Stelle di Bagheria, Patrizio Cinque è finito sotto la lente della Procura di Termini Imerese è la gestione disinvolta del procedimento relativo agli abusi edilizi commessi nella casa della sorella.

Così come emerge dalla trascrizione giornalistica delle intercettazioni delle telefonate tra il sindaco Cinque Stelle, il cognato e uno dei funzionari del comune di Bagheria la vicenda appare sin da subito surreale, una sorta di commedia degli equivoci. Al Comune, infatti, è stata recapitata una autodenuncia del cognato del sindaco che si scopre essere falsa, ossia presentata da un anonimo.

Il che dovrebbe indurre a porsi, da subito, una domanda sul modo in cui funziona l’ufficio protocollo del Comune di Bagheria. Ci si aspetterebbe, infatti, che per poter accettare l’istanza di un cittadino e far partire conseguentemente un procedimento amministrativo l’ufficio accerti prima ancora che l’oggetto della domanda, l’identità del soggetto e il possesso dei titoli per presentare la suddetta domanda chiedendo preliminarmente un documento identificativo.

Ma pare che non sia successo tutto ciò, e il “pizzino” scambiato per autodenuncia abbia dato luogo ad un procedimento. Anche questo passaggio e soprattutto le parole utilizzate dal sindaco e dal funzionario del comune lasciano più di qualche dubbio. In materia edilizia, come in molti altri campi dell’azione amministrativa, non esiste l’istituto dell’autodenuncia, quella semmai si può presentare alla Procura della Repubblica per fatti che hanno rilevanza penale.

Nel caso di abusi edilizi il responsabile può segnalare con uno dei titoli abilitativi previsti dalla normativa a seconda del tipo di abuso commesso (per esempio una Segnalazione Certificata Inizio Lavori, a lavori in corso di realizzazione oppure eseguiti ai sensi dell’art.36 del Testo Unico dell’Edilizia) l’esecuzione avvenuta, o in corso, di opere senza la prescritta autorizzazione dimostrandone la conformità alle norme urbanistico-edilizie che trovano applicazione, e regolarizzando l’intervento edilizio anche attraverso il pagamento di un’apposita oblazione in una misura pari al doppio del contributo di costruzione comunque dovuto. Questa forma di ravvedimento – è doveroso segnalarlo – può essere avviata dal responsabile dell’abuso soltanto fintantoché non scada il termine assegnato dal Comune per procedere alla demolizione dell’abuso.

Cosa diversa accade se non è possibile dimostrare/accertare la conformità dell’intervento abusivo realizzato alle norme vigenti – che dovrebbe essere la situazione nella quale si trovava il cognato del sindaco di Bagheria – e sempre prima che, una volta decorso il termine per procedere alla demolizione da parte del responsabile, l’area venga immessa nel possesso dell’amministrazione e il comune disponga la demolizione d’ufficio.

In questo caso il responsabile dell’abuso non presenta un’autodenuncia al comune, ma con l’indispensabile supporto di un tecnico abilitato presenta una richiesta ovvero presenta uno dei cosiddetti atti di auto-amministrazione previsti nell’ordinamento (DIA, CILA, SCIA) per poter realizzare gli interventi necessari a demolire l’abuso e ripristinare lo stato dei luoghi ed eventualmente – se possibile e necessario con un distinto titolo edilizio – realizzare un intervento edilizio conforme alla normativa, acquisendo eventualmente le autorizzazioni ed i nulla osta degli enti preposti alla gestione di eventuali vincoli cogenti.

Visto che il sindaco di Bagheria e le persone intercettate parlano di una autodenuncia – per giunta rivelatasi falsa – si può dedurre che il documento dal quale prende avvio l’azione amministrativa non è, in alcun modo, né una SCIA a lavori eseguiti o in corso d’opera, né una pratica edilizia presentata per procedere alla demolizione degli abusi, ma di un esposto che poneva l’obbligo di fare un doveroso accertamento e, se fondata, di far partire il procedimento previsto dal Testo Unico dell’Edilizia.

Una volta accertato un intervento edilizio abusivo, al Comune spetta adottare un provvedimento amministrativo con il quale viene disposto l’obbligo di sospendere eventuali attività edilizie abusive (se ancora in corso), di demolire l’abuso e ripristinare lo stato dei luoghi. A seguire, una volta accertata l’inottemperanza all’ordine di demolizione – come scritto in precedenza – il Comune entra in possesso dell’area (e dell’immobile) e procede alla demolizione con spese a carico del responsabile dell’abuso.

Ma dell’avvio e dello sviluppo di un procedimento di questo tipo a Bagheria – che peraltro necessita di un certo arco di tempo e che prevede anche l’obbligo di trasmettere informative alla Procura della Repubblica territorialmente competente – non si hanno notizie stando agli scambi di informazione tra il sindaco e gli uffici. La principale preoccupazione del sindaco Cinque è l’importo della sanzione che il cognato e la sorella dovrebbero pagare. Ed è in merito a ciò che nelle conversazioni oggetto delle intercettazioni il sindaco di Bagheria ha definito “minchiona” il deputato nazionale del Movimento Cinque Stelle Claudia Mannino (nella foto).

La deputata eletta con le liste del M5S – sospesa in un periodo successivo a quello delle conversazioni telefoniche del sindaco per i fatti delle elezioni comunali del 2012, ed ora iscritta al gruppo misto – è la prima firmataria di un emendamento approvato in sede di conversione in legge del cosiddetto Decreto Sblocca Italia (Legge n. 164/2014) con il quale è stato parzialmente riformato l’art. 31 del Testo Unico dell’Edilizia (DPR 380/2001). In base alla disposizione introdotta con l’emendamento, una volta accertata l’inottemperanza all’ordine di demolizione ingiunto con un apposito provvedimento come ricordato prima, il Comune ha l’obbligo di irrogare a carico del responsabile dell’abuso edilizio una sanzione pecuniaria che può arrivare sino a 20 mila euro.

A questo riguardo il sindaco di Bagheria Cinque, una volta informato dell’importo della sanzione applicabile al cognato, prova a chiedere agli uffici di rimodulare l’importo della sanzione, ritenuta intollerabilmente onerosa anche perché, a suo dire, introdotta da una norma voluta da un deputato siciliano come Mannino. Il sindaco, infatti, avrebbe anche detto: “L’avesse messa e l’avesse proposta una di Milano”.

Della vicenda, però non vanno tenuti presenti soltanto l’attività di intermediazione tra un funzionario pubblico ed un familiare responsabile di un abuso edilizio ed il tentativo di “pilotare” un procedimento amministrativo, e gli insulti alla deputata Claudia Mannino alla quale non sembrano siano giunte manifestazioni di solidarietà da parte del Movimento in nome del quale aveva portato avanti quell’iniziativa parlamentare e molte altre sul tema dell’abusivismo edilizio.

Stando alle conversazioni intercettate appare chiaro – a chiunque conosca minimamente la normativa che trova applicazione in situazioni del genere – come il sindaco Cinque e i suoi collaboratori non conoscano molto bene ciò di cui parlano (di cui dovrebbero occuparsi) e di cui davvero singolarmente si lamentano.

La sanzione pecuniaria introdotta con l’emendamento del deputato Claudia Mannino, come scritto in precedenza, si applica ai responsabili di abusi che sono stati già raggiunti da un ordine di demolizione precedentemente notificato dal Comune, e solo una volta che viene accertata l’inottemperanza al suddetto ordine. Non trovava – non poteva trovare – applicazione rispetto ad un abuso edilizio, come quello commesso dal cognato del sindaco che, stando alle ricostruzioni, sarebbe stato appena “scoperto” in seguito ad una falsa autodenuncia anonima. E la sanzione in questione non può considerarsi, come sembra dai discorsi tra il sindaco ed il funzionario, lo strumento grazie al quale si sarebbe potuto “sanare” l’irregolarità consentendo al cognato ed alla sorella del sindaco di poter continuare ad utilizzare, senza problemi, l’immobile oggetto di trasformazione abusiva.

L’applicazione della sanzione prevista dai commi 4-bis, 4-ter e 4-quater dell’art. 31 del DPR 380/2001 – introdotta su impulso della deputata Mannino – non interrompe e non condiziona in alcun modo lo sviluppo del procedimento amministrativo finalizzato alla demolizione dell’abuso edilizio ed al ripristino dello stato dei luoghi.

In questa vicenda grottesca c’è, dunque, una dimostrazione di cosa può succedere quando l’onestà e la competenza sbandierate negli slogan elettorali del Movimento Cinque Stelle – e rivendicate in modo spesso molto spocchioso dai portavoce nazionali durante le loro apparizioni televisive – vengono messe alla prova all’interno delle amministrazioni che non sempre brillano, ahinoi, per competenza professionalità e capacità di conduzione dei procedimenti amministrativi. E nel caso di specie, si sta anche parlando di una questione piuttosto semplice – un abuso edilizio – rispetto alla quale la normativa da applicare è stabilita dal legislatore nazionale in modo piuttosto dettagliato e puntiglioso, rendendo chiaro, seppure arduo in determinate situazioni, il compito affidato alle amministrazioni di provvedere in base a quanto la legge prevede.

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