Le orribili vicende di Rimini e di Firenze di queste ultime settimane hanno scatenato una serie di reazioni più o meno variegate sui social, in televisione, sui giornali, nei discorsi da bar. L’orrore di questi fatti, la sofferenza delle vittime o passa in secondo piano, quando va bene, o diventa oggetto di vomitevoli discussioni e puntualizzazioni.
Nel primo caso, quello di Rimini, gli autori della violenza sono ragazzi di origine straniera. La reazione è stata quindi di profondo sconcerto, ma non per il crimine commesso, bensì perché a commetterlo sono stati degli stranieri. Il dolore delle vittime di questa violenza è passato sotto traccia, anzi, ignorato. La discussione, infatti, si è estesa alla questione “immigrazione”. Dando modo ai più di sfogarsi contro “gli stranieri”. Addirittura Forza Nuova, il movimento neo-fascista, ha riproposto un manifesto che si ispira all’epoca fascista che dice: “difendila dai nuovi invasori, potrebbe essere tua madre, tua moglie, tua sorella, tua figlia”. Dove si vede un uomo dalla pelle nera che aggredisce una donna dalla pelle bianca.
Nel secondo caso, quello di Firenze, gli autori della (presunta) violenza, sono due italiani, carabinieri, uno di 40 anni, sposato con tre figli, e l’altro single di 25 anni. Dico “presunta” poiché le indagini sono in corso, e la stampa, in questo caso, è stranamente molto garantista. Le vittime, però, sono due ragazze statunitensi che si sottolinea spesso erano in preda ai fumi dell’alcool e della droga. Insomma, inizia già ad emergere la contro-narrazione: eh, ma perché erano ridotte così? Eh, ma erano confuse, magari si sbagliano. Eh, ma perché sono salite in auto dei carabinieri (!).
Queste vicende mettono in evidenza tutta la potenza degli stereotipi. Il focus non è sul “crimine di per sé”, ma su chi il crimine lo ha commesso. Ma solo nella misura in cui l’autore sia straniero. Così attenuanti e aggravanti vengono date con totale libertà.
Lo stupro è un esercizio di potere di un genere su un altro. Dico genere poiché lo stupro può avere come vittime sia uomini che donne, così come può essere commesso da uomini o da donne. La statistica, però, ci offre dei dati chiari su cui si deve riflettere.
Secondo l’indagine ISTAT (2015): “6 milioni 788 mila donne hanno subìto nel corso della propria vita una qualche forma di violenza fisica o sessuale, il 31,5% delle donne tra i 16 e i 70 anni: il 20,2% ha subìto violenza fisica, il 21% violenza sessuale, il 5,4% forme più gravi di violenza sessuale come stupri e tentati stupri. Sono 652 mila le donne che hanno subìto stupri e 746 mila le vittime di tentati stupri.”
I numeri sono impressionanti. Inoltre, Istat indica che “il 62,7% degli stupri è commesso da un partner attuale o precedente”.
Le vittime di stupri sono essenzialmente donne. A commettere il reato è primariamente l’uomo, a prescindere dal colore della pelle o dello status sociale. Se non si comprende che lo stupro è un rapporto malato di potere, e che oltre ad essere un crimine è anche un tentativo di distruggere la dignità della vittima, non ne usciremo mai. Resterà oggetto di deprechevoli propagande politiche e di banalissime discussioni sui social.
Ho qui un caso studio da esporre: ho avuto una discussione sulla questione con alcune persone (donne e uomini) e sono rimasto basito da quel che è emerso. Viene detto che tra lo stupro di Rimini e di Firenze ci sono delle differenze. Che non c’è lo stesso livello di gravità. E chiedo allora come venga misurata questa gravità. “La vittima lo sa”. Chissà se il riferimento è all’intensità dell’atto. Provo profondo orrore e non mi avventuro oltre su questa discussione.
Mi torna alla mente il “processo per stupro” in cui gli avvocati della difesa si gettavano su fantasiose argomentazioni sul sesso orale, sul piacere, sul modo in cui la donna si poneva. Magistrale (in senso negativo) l’arringa dell’Avv. Zeppieri.
Addirittura viene fatta una distinzione tra le “modalità” dello stupro di Rimini e quello di Firenze. Ma quello che dobbiamo affermare con forza è che lo stupro è stupro. Punto. Il dolore delle vittime merita lo stesso rispetto. Non si parla delle “aggravanti” che un giudice può o meno decidere sulla base di criteri che il giudice stesso deve valutare. Si parla di quello che la vittima ha patito. E mettere sul piatto della bilanca l’esperienza di una vittima con quella di un’altra penso sia oltre l’indecenza.
La questione è seria. Il linguaggio non è secondario, anzi. In occasione di un seminario qua a Berlino sulla comunicazione, in un workshop dal titolo “gender e linguaggio”, la prof.ssa Stefania Cavagnoli ha affermato che “il linguaggio plasma la realtà“. Mi sento di ri-utilizzare questa affermazione per questo caso. L’uso di determinate forme di espressione, nella loro regolarità, dà il senso di stabilità, di “scontato” nel tempo. Così determinati atteggiamenti vengono tollerati, anche perché descritti in un certo modo. Quindi perché interpretati in un certo modo.
Dietro queste vicende si nascondono ancora le dinamiche machiste e maschiliste del passato. Se qualche influenza culturale c’è non attiene le etnie o i paesi da cui si proviene, ma la pulsione di dominio che c’è tra il maschio e la femmina. E tutto quel sottobosco di (non)valori per cui la femmina (tutto ciò che non è maschile, che include una riflessione ampia sulle questioni di genere, come aveva già ampiamente descritto il sociologo americano Micheal Kimmel) è inferiore al maschio. Per cui la femmina è oggetto del piacere del maschio. La femmina è proprietà del maschio.
Da ascoltare, per capire bene questo aspetto, l’intervista che Tina Lagostena Bassi rilasciò ad Enzo Biagi, sul caso della violenza di una ragazza di 16 anni in Toscana, ad opera di 9 “giovanotti della Siena bene”. E in special modo le giustificazioni della sentenza. Non veniva risarcita la vittima per la violenza subita, ma poiché a seguito della violenza, nella società, non avrebbe trovato adeguata sistemazione, ossia, nessun “uomo l’avrebbe sposata.”
Questa visione delle cose si mescola ad ulteriori elementi quali la xenofobia e il razzismo. Tanto che la propaganda è “difendere le nostre donne dagli invasori”. Ma di difenderle da chi sta in casa loro nessuno ci pensa? Anche su questo passaggio, da ascoltare l’ultima parte dell’intervista, dove parla di gravità della pena e razzismo.
Mi sento di esprimere tutta la mia vicinanza alle vittime di queste orribili vicende. E vorrei invitare tutte e tutti a fare attenzione all’uso che si fa delle parole: lo stupro è stupro. Un crimine, un oltraggio alla dignità della persona. Non può essere mitigato sulla base di considerazioni legate all’essere stranieri o meno e non può essere usato per propaganda politica.