Nel suo libro “l’etica in un mondo di consumatori“, il grande sociologo polacco Zygmunt Bauman, scriveva che in un epoca di fitte reti caratterizzate da una interdipendenza globale “non possiamo essere certi della nostra innocenza morale”. Questa frase mi colpì quando la lessi e mi resta impressa nella testa anche oggi. Perché? E in riferimento a che cosa?
Penso al modo in cui i grandi Paesi europei trattano la questione dei migranti. Concetto ombrello dove vengono incluse ulteriori etichette, come “profughi”, “clandestini”, “richiedenti asilo” e via dicendo. Cito un passaggio del testo di Bauman, che è un pugno nello stomaco, ma che dà l’idea degli effetti di una certa narrazione da parte di politici, partiti, media:
“[i] rifiuti umani della frontiera globale, i profughi, sono gli outsiders incarnati, gli outsiders assoluti, gli outsiders ostracizzati e accolti ovunque con rancore e disprezzo. Sono fuori luogo ovunque tranne che in luoghi che sono essi stessi <fuori luogo>, quei nowhere places che non appaiono su nessuna delle mappe che i normali turisti usano per i loro viaggi. E una volta fuori si resta fuori a tempo indefinito: una recinzione sicura con torrette di controllo è tutto ciò che serve per prolungare eternamente l’ <indefinitezza> del fuori-luogo” (p.39)
Questi non-luoghi di controllo e di contenimento sono un po’ la negazione dei diritti delle persone. Sui territori delle grandi democrazie europee occidentali, non può essere tollerata la violazione sistematica dei diritti umani, considerati in teoria, inviolabili. Eppure, in questi “non-luoghi” si esercita una sorta di violenza e dunque una violazione di quei valori e diritti che nelle nostre democrazie, invece, sono tutelati. Ma per chi?
E allora torno alla citazione di Bauman sull’innocenza morale. Sembra che i paesi occidentali abbiamo escogitato un modo per “lavarsi la coscienza”: delocalizzano le responsabilità, appaltano la gestione dei migranti/profughi a paesi terzi, decisamente non liberali, decisamente non democratici, decisamente propensi all’uso della violenza fisica e psicologica, come documentato da organizzazioni internazionali come Amnesty International, e reportage o documentari, come quello del 2008 “come un uomo sulla terra“.
Ma tutto questo non cancella affatto le responsabilità dei paesi occidentali. Anzi, denota la debolezza istituzionale e politica di questi Stati. Emerge tutta l’ipocrisia della retorica sui diritti, le libertà, le tutele. Certo, garantiti tutti sui nostri territori. In quel caso, sì, c’è l’obbligo del rispetto di quei diritti: e allora nasce il problema. Il timore di dover gestire e trattare queste persone come tutte le altre. Meglio quindi evitare che sul nostro territorio possano arrivarci. Non importa in che modo, con quali mezzi. Anzi: il fine (evitare che arrivino) giustifica tutti i mezzi da impiegare (detenzioni disumane in Libia, o in Turchia, o in qualsiasi altro paese che non è EU, e quindi non tenuto a rispettare le nostre regole, i vincoli, i diritti…). Sì, perché la garanzia che invece i diritti umani siano tutelati anche in quei paesi, da parte delle autorità locali, non può essere data.
Nessuno, quindi, può dirsi moralmente innocente in tutto questo. Ma sulla base di queste scelte, di queste azioni, dagli accordi con la Libia, a quelli con la Turchia, alla militarizzazione delle frontiere e dal crescente gioco al massacro da parte di esponenti politici e partiti più o meno xenofobi, razzisti e in certi casi pure fascisti, si gioca il futuro anche delle nostre democrazie, dei sistemi di tutela che noi vogliamo siano”universali”, purché limitati ai territori nazionali di riferimenti e a una platea assai ridotta di soggetti, “le cittadine e i cittadini”. Ecco, poi, la discussione feroce sulla cittadinanza da dare ai figli di immigrati nati e cresciuti nei Paesi occidentali.
Non sia mai che possano essere titolari di diritti a tutti gli effetti, e che la democrazia europea occidentale debba poi farsene carico…