“Data l’impossibilità per Mps di conseguire per altra via il necessario rafforzamento patrimoniale, in assenza di un intervento pubblico precauzionale rilevante ci sarebbero stati riflessi negativi sulla banca e pesanti ripercussioni sulla stabilità finanziaria e sull’economia italiana”. Così Banca d’Italia, in un documento di domande e risposte sulla crisi dell’istituto senese, spiega che cosa sarebbe successo se lo Stato non fosse intervenuto. Nel report pubblicato in settimana via Nazionale si concentra su molteplici aspetti del salvataggio: dal contributo offerto da Quaestio sgr all’operazione fino al ruolo che dovrà giocare il ministero dell’Economia nella scelta dei vertici della banca. Innanzitutto Bankitalia spiega il motivo dell’ingresso dello Stato nel capitale attraverso il meccanismo di ricapitalizzazione precauzionale. “L’intervento dello Stato nel capitale di una banca è consentito, nell’attuale quadro normativo, per evitare o per porre rimedio a una grave perturbazione dell’economia e per preservare la stabilità finanziaria”. L’intervento “può essere richiesto da una banca che, in relazione a una prova di stress basata su uno scenario avverso condotta a livello nazionale, dell’Ue o del Meccanismo di Vigilanza Unico, ha esigenza di rafforzare il patrimonio. Mps costituisce il quarto gruppo bancario italiano ed è attiva sull’intero territorio nazionale, con una significativa quota di mercato in termini sia di numero di filiali, sia di prestiti alla clientela”.
La banca senese “è altresì classificata fra le istituzioni a rilevanza sistemica nazionale”. Via Nazionale spiega anche che non sarebbe stato possibile intervenire con una risoluzione di Mps “in quanto non ne esistevano i presupposti. Per l’avvio di una procedura di risoluzione è necessario in primo luogo che la banca sia dichiarata in stato di insolvenza o a rischio di insolvenza dall’autorità di vigilanza o di risoluzione. Nel caso di Mps non esistevano i presupposti per una dichiarazione del genere, in quanto la banca era solvibile e mostrava una carenza di capitale solo nello scenario avverso, per definizione ipotetico, di uno stress test”. La solvibilità, che è uno dei requisiti per accedere alla ricapitalizzazione precauzionale, è stata attestata dalla Bce in più occasioni: sia quando la banca ha presentato la richiesta di ricapitalizzazione precauzionale (dicembre 2016), sia a ridosso della decisione presa dalla Commissione Europea (giugno 2017). Bankitalia argomenta anche sul tempo trascorso dal momento della richiesta di ricapitalizzazione precauzionale da parte di Mps a quello di approvazione da parte delle autorità che “si può considerare fisiologico ed è dipeso dalla complessità delle valutazioni e dalla molteplicità delle autorità coinvolte (Bce, Commissione europea, Mef, Banca d’Italia) ciascuna per gli aspetti di propria competenza”.
Non manca nemmeno un giudizio sull’andamento dell’istituto e uno sguardo al futuro con un preciso riferimento al ruolo del Mef cui spetta la scelta degli organi di vertice. “Mps continua a operare in autonomia nel mercato bancario. Si è tra l’altro impegnata ad attuare un piano di ristrutturazione che, per consentire il ritorno alla redditività e alla competitività, prevede: il miglioramento del profilo di rischio (ad esempio l’impegno alla cessione del portafoglio di sofferenze, il rafforzamento delle politiche di gestione dei rischi, vincoli all’attività di finanza proprietaria); la riduzione dei costi operativi; la cessione di attivi non strategici; limiti alle remunerazioni dei vertici. Al Mef, che opera per conto dell’azionista di maggioranza, spetta la scelta degli organi di vertice della banca”, ribadisce Via Nazionale. Il paper, infine, mette nero su bianco il funzionamento del meccanismo di ristoro per i detentori dei bond subordinati.
(Articolo pubblicato si MF/Milano Finanza, quotidiano diretto da Pierluigi Magnaschi)