“Se si vuole salvare l’euro, bisogna che l’Europa si ridefinisca completamente. Ma perché ciò accada, bisogna che la Germania, a sua volta, sia disposta a cedere parte del proprio potere”. Di questo è convinto un gruppo di economisti, tutti premi Nobel, presenti la settimana scorsa all’annuale raduno dei premi Nobel per l’economia a Lindau, sul Lago di Costanza.
I sentimenti nei confronti della Germania restano ambigui. Se da una parte si ammira la determinazione con la quale il paese ha saputo trasformarsi da grande malato (2005) a locomotiva dell’Unione Europea, dall’altra non si è mai sopita l’insofferenza nei confronti della politica di Berlino dei diktat. Un’insofferenza, trasformatasi in alcuni casi, vedi la Grecia sottoposta a un programma di risanamento lacrime e sangue, in vero e proprio astio. Non piace, soprattutto ai paesi dell’Europa mediterranea, quel piglio da primo della classe e da istitutore che ha fatto proprio il compito di mettere in riga gli stati meno virtuosi. Ed è sempre nell’ottica del rigore, che va letta anche la campagna contro il governatore della Banca Centrale Europea (Bce) Mario Draghi e il suo programma di Quantitative Easing (QE), cioè di acquisto di titoli di stato. Ma non sono solo gli analisti dei paesi direttamente interessati dai compiti a casa che Berlino chiede loro, ad argomentare che l’ossessione per l’austerità, intesa come unico strumento capace di rimettere in sesto i conti, ha semmai rallentato, quando non addirittura soffocato, qualsiasi possibilità di far ripartire l’economia dei paesi in crisi. Di tanto in tanto, si sono levate anche voci critiche di economisti tedeschi contro questa politica del rigore, con poche possibilità però di essere ascoltate. La maggior parte dei tedeschi, infatti, sostiene la linea del governo.
Per i premi Nobel (la gran parte di oltre oceano, ma non esclusivamente) citati in un articolo della Welt, invece, l’euro è di per sé un costrutto mal concepito, che potrà essere messo veramente in salvo solo nel momento in cui la Germania riuscirà a disfarsi delle sue posizioni di principio, oppure abbandonerà l’eurozona.
È vero, sostiene per esempio Roger Myerson (premio Nobel nel 2007), che tutti gli stati hanno fatto finta di non vedere il crescente indebitamento, “motivo per cui tutti ora devono assumersene le responsabilità”. Tra i motivi che hanno portato alla crisi, Myerson individua “la rigida regolamentazione, che è stata come un invito a nozze per le banche a comperare titoli di stato. Un esempio paradigmatico da questo punto di vista è rappresentato dall’Italia”, prosegue Myerson. Le banche italiane detengono grandi quantità di titoli di stato, il che rende la ripresa economica particolarmente difficile. Myerson, premiato per le sue teorie del gioco, punta a neutralizzare il cosiddetto “doom loop”, cioè il fatale intreccio tra banche e Stato, perché nel caso di una nuova crisi in Italia, questa potrebbe trascinare con sé tutta l’eurozona. La soluzione per Myerson è evidente: un’autorità europea, per esempio la Bce dovrebbe comperare i titoli di Stato, al fine di attuare poi “una riduzione del debito concertata, unico modo per far sopravvivere l’euro”.
Il britannico-cipriota Christopher Pissarides (Nobel 2010) constata a sua volta, che la Germania ha nel frattempo preso di fatto il potere in Europa. “Senza il consenso di Berlino, non si muove nell’UE”, afferma. Secondo Pissarides la responsabilità per questa situazione è da imputare all’ex presidente francese François Hollande. Un tempo, ha spiegato alla Welt l’economista, la Francia svolgeva la funzione di contrappeso alla Germania. Hollande era però troppo inviso ai francesi, e dunque troppo debole per impedire il dominio di Berlino nell’eurozona. “La Germania ha approfittato in particolar modo dell’euro debole, esportando il suo tasso di disoccupazione negli altri stati dell’eurozona” motivo per cui, dice l’economista, Berlino non dovrebbe ora opporsi a una maggiore integrazione all’interno dell’area euro. Certo, costerà qualcosa anche alle casse tedesche.
Il canadese Myron Scholes (Nobel 1997) si mette invece a sorridere quando sente parlare di eurozona. Per questi economisti, il futuro della moneta unica dipende pressoché esclusivamente dalla Germania. Ma per fortuna, annota il quotidiano Die Welt, non tutti i Nobel presente a Lindau danno la colpa all’economia più forte del vecchio continente. Il britannico James Mirrlees (Nobel 1996), per esempio, vede nella rigida regolamentazione della moneta il motivo principale per cui l’euro passa da una crisi all’altra.
Non trova invece consenso tra questi economisti l’idea di una valuta parallela, “un’idea discussa ripetutamente riguardo all’Italia e la sua montagna di debiti”, scrive il quotidiano. “Un esperimento del genere vorrebbe dire che il paese è già fuori dall’eurozona con un piede” fa notare Piassarides. “E se dovesse andare bene? Chi potrebbe trattenere l’Italia dal non uscire completamente?”.
Anche Myerson si mostra piuttosto scettico riguardo all’ipotesi che l’Italia possa risolvere il problema del suo ingente debito pubblico da sola. “Uno dei motivi di questo ingente ammontare di debito pubblico italiano sta nel fatto che il sistema fino a ora aveva come incentivato l’indebitamento” fa notare Myerson. “E ora è impensabile che Roma riesca a risolvere il problema da sé. A dover dare una mano in questo caso è tutta l’eurozona”.