Skip to main content

Che cosa non è scritto nella lettera di Padoan sulla Web Tax

Per i giganti del web il dado è tratto e la proposta di Italia, Germania e Francia e Spagna è chiara, tassare il fatturato. Da tempo infatti legislazioni nazionali e Unione europea erano alla disperata ricerca di una modalità di imposizione per gli operatori della web economy trovando grandi difficoltà sull’individuazione di una corretta base imponibile che permettesse un’equa tassazione dei vari Google, AirBnb e Uber.

Il problema nasce dal fatto che la legislazione fiscale italiana e comunitaria non si è sviluppata tanto velocemente quanto la digital economy e stare al passo con fenomeno in così rapida evoluzione è cosa ardua.

Ardua anche perché economisti ed esperti si sono trovati di fronte un processo completamente nuovo, ovvero la produzione di ricavi senza spostamento effettivo di merci o servizi erogati in un territorio dematerializzato.

La lettera sottoscritta dai quattro ministri dell’Economia, Padoan, La Maire, Schauble e De Guindos è esplicativa, basta studiare e cercare un metodo di calcolo per arrivare alla più corretta base imponibile o che aiuti anche ad individuare una stabile organizzazione nei vari paesi, bisogna iniziare ad incassare.

In effetti l’unico modo per fare cassa velocemente e tassare chi, non necessariamente per volontà di evadere o eludere le fiscalità nazionali ma soprattutto per carenza normativa, realizza ricavi nei vari Stati Ue è puntare sull’unico dato che effettivamente si conosce, il fatturato.

Il fatturato è noto poiché il consumo nei vari Stati è noto, come è conosciuta e rispettata dai colossi del web anche la normativa Iva, questa si comunitaria e più reattiva rispetto al mondo che cambia perché imposta facilmente associabile e accertabile che colpisce appunto il consumo.

Vengono dunque accantonati, almeno per il momento, il Ccctb (Common Consolidated Corporate Tax Base) e il Cctb strumenti in fase di studio e sviluppo che permetterebbero di associare il reddito prodotto dagli operatori della digital economy nei vari Stati Ue in modo da permetterne la tassazione, per una soluzione più rapida, più semplice e più contestata.

Più contestata proprio perché molti economisti ritengono non corretto utilizzare la stessa base imponibile colpita dall’Iva (che paga però solo il consumatore finale) per una tassazione anche reddituale… e come dargli torto.

Purtroppo però questa sembra senza dubbio essere la via più semplice e veloce, utilizzando magari un’aliquota ridotta che colpisca il fatturato e intanto sviluppare con più calma e soldi in tasca, modalità di calcolo alternative.

Questa, in effetti, non è solo la soluzione più semplice ma anche la più comoda.

Comoda perché in realtà una web tax comunitaria non è proprio interesse (e convenienza) di tutti gli Stati membri UE; molti infatti come Olanda ed Irlanda di interesse non ne hanno proprio e da anni fanno ripetutamente concorrenza sleale fiscale per attrarre holding, multinazionali ed ovviamente anche le new entry del mercato, i colossi del web.

Alla fine, questa lettera firmata solo da quattro dei ministri Ue, mostra ciò che è agli occhi di tutti, e ciò che da anni in molti ripetono, ovvero che per ora gli Stati Ue sembrano essere legati solo dalla moneta, che forse doveva essere proprio l’ultimo dei vari step per arrivare all’unione, step preceduto inevitabilmente da una normativa fiscale condivisa.


×

Iscriviti alla newsletter