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Perché la Cina mette al bando i formaggi italiani?

È tutto poco chiaro. Ma quel che è certo è che da qualche giorno il governo di Pechino ha deciso di bloccare le importazioni del formaggio italiano. In particolare del taleggio e del gorgonzola, due prodotti del made in Italy molto apprezzati in tutto il mondo. Un divieto che colpisce anche i francesi camembert e roquefort. Le motivazioni ufficiali sarebbero riconducibili a problemi fito sanitari, essendo i formaggi “con le muffe” non particolarmente graditi ai cinesi che avevano aperto alla loro commercializzazione qualche anno fa e dopo una lunga ed estenuante negoziazione.

“Da qualche giorno – ha denunciato Giuseppe Ambrosi (in foto), presidente di Assolatte – registriamo un pericoloso e inatteso inasprimento nell’applicazione delle norme sull’import dall’Unione europea dei formaggi prodotti con alcuni fermenti, lieviti e muffe non espressamente previsti dalle restrittive norme cinesi, ma finora sempre accettati in base a una sorta di gentlemen agreement. Il rischio concreto è che molti famosi formaggi europei restino fermi in dogana a tutto vantaggio di quelli prodotti in altri Paesi concorrenti”.

Il motivo? Sarebbe la presenza di ceppi batterici non tollerati, tradizionalmente usati per la produzione degli erborinati europei. “Non c’è un problema politico” ha voluto subito rassicurare Wu Jing-chun, vice direttore del ministero del Commercio, a margine del lancio del settimo congresso Slow Food International che si svolgerà a fine mese a Chengdu. Ma chi ha deciso il blocco? Un potente braccio del Ministero della Sanità cinese, la AQSIQ, l’Agenzia sanitaria su ispezioni e quarantena.

Con una circolare applicativa l’Agenzia della Sicurezza Alimentare di Pechino ha chiarito le disposizioni inerenti l’importazione in Cina dei prodotti alimentari, fra cui i lattiero-caseari. Questa norma desta molte perplessità perché presenta numerose criticità: ad esempio sulle registrazioni, sulle eventuali non conformità, sui nuovi parametri che sono a discrezione dell’AQSIQ compresa l’introduzione della quarantena per i formaggi a latte crudo stagionati, la richiesta di certificati di analisi per ogni spedizione, la ripetizione delle procedure per la prima esportazione anche in caso di cambiamento del porto di ingresso, la mancanza di chiarezza sui parametri analitici.

La Cina rappresenta un mercato dalle interessanti potenzialità per i nostri formaggi: i consumi pro capite sono ancora ridotti, ma il bacino dei consumatori si va estendendo e non è più limitato alle comunità di stranieri residenti nell’ex Celeste Impero. Il nostro export in Cina è, infatti, in costante crescita: solo tra 2015 e 2016 le vendite di formaggi italiani in Cina sono aumentate del 42%, arrivando a 2.650 tonnellate, e nel primo quadrimestre del 2017 hanno registrato un ulteriore balzo in avanti del 34%.

Con la nuova circolare dell’Agenzia della Sicurezza Alimentare i formaggi a pasta molle come il brie e gli erborinati come il roquefort e il bleu però non riescono a superare i controlli doganali. Quel che è certo è che il caso non è di facile e rapida soluzione, potendo scivolare anche negli altri contenziosi aperti tra Pechino e Bruxelles: per far ripartire l’import sarà infatti necessario rivedere i parametri con tutto quello che comporta un nuovo tavolo negoziale. Il “desk cheese” della Camera di Commercio Ue in Cina ha proposto a Pechino, considerando che “l’import è avvenuto per anni senza alcun problema alla sicurezza”, di “continuare le importazioni” accettando gli standard della International Dairy Federation (IDF) e la lista di altri Paesi sulle lavorazioni”.

D’altra parte nell’ultimo summit Ue-Cina, tenuto a Bruxelles lo scorso giugno, è stata presentata una lista di tutela di 100 indicazioni geografiche tipiche, di cui 26 italiane (gorgonzola incluso), che Pechino ha detto di voler rispettare. Nelle contromosse allo studio, ci sarà un seminario sui formaggi con muffe da tenere quanto prima, mentre anche l’Ue scenderà in campo dato che la lettura restrittiva dei regolamenti rischia di colpire non solo Italia e Francia, ma anche Gran Bretagna, Danimarca e Olanda. Intanto il blocco è un dato di fatto. E potrebbe non essere l’unico. Dopo i formaggi con le muffe, infatti, dalle tavole dei cinesi potrebbe sparire la pancetta italiana e il prosciutto spagnolo, altri due prodotti che non rispetterebbero gli standard di sicurezza cinesi.

Il grido d’allarme di Assolatte, che qualche mese fa aveva messo sull’allerta il governo italiano e la commissione europea, è rimasto inascoltato proprio perché non si pensava che Pechino potesse prendere una decisione unilaterale che violerebbe anche le regole stabilite dall’Organizzazione Mondiale per il Commercio. Adesso sono al lavoro sia i tecnici del Ministero dell’Agricoltura che dello Sviluppo Economico in stretto contatto con gli sherpa della Commissione Europea. È un dossier – sottolinea una fonte ministeriale – che potrebbe venir comodo anche per ribadire che con queste posizioni Pechino non ha alcun diritto a vedersi riconosciuto lo status di economia di mercato (MES).

Intanto i consorzi delle nostre produzioni di Gorgonzola e Taleggio chiedono di fare presto perché a beneficiare di questo improvviso stop sarebbero i produttori lattiero caseari di altri paesi, Stati Uniti e Australia in primis, dove la qualità dei formaggi non è certo paragonabile a quella del nostro made in Italy.


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