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Quanto costano i rifugiati allo Stato. Report Ispi

Di Ispi
rifugiati, Frontex, migranti

Pubblichiamo una serie di pillole sulle migrazioni con il rispettivo fact checking a cura dell’Istituto per gli studi di politica internazionale. Qui il primo, qui il secondo, qui il terzo, qui il quarto, qui il quinto, qui il sesto, qui il settimo, qui l’ottavo. 

Rifugiati e richiedenti asilo pesano sulle tasche degli italiani? VERO sul breve periodo, mentre sul lungo DIPENDE da quanto riusciremo a integrarli.

Nel breve periodo, è innegabile che i richiedenti asilo rappresentino un costo per le casse dello stato. Nel 2016 l’Italia ha speso 3,6 miliardi di euro per soccorso in mare e accoglienza, e nel 2017 questa cifra dovrebbe salire a 4,2 miliardi (lo 0,22% del PIL). Per confronto, la cifra equivale a quanto lo stato prevede di spendere per lo sviluppo residenziale, o alla spesa italiana in aiuti allo sviluppo.

L’Ue aiuta l’Italia in due modi: stanziando delle risorse, che nel 2017 hanno raggiunto quota 750 milioni (coprendo dunque meno del 20% dei costi previsti), e permettendo all’Italia di sforare il vincolo sul deficit, per un ammontare pari ogni anno alle spese aggiuntive rispetto all’anno precedente (nel 2017 potrebbe trattarsi di circa 600 milioni). Va sottolineato che la “flessibilità” sulle spese pubbliche significa che lo Stato italiano aumenta di fatto il proprio deficit, che dovrà comunque essere ripagato in futuro.

I costi di breve periodo dipendono anche dal fatto che la legge italiana non permette a un richiedente asilo di lavorare prima che siano trascorsi 60 giorni dalla presentazione della domanda di protezione, e che per un richiedente asilo è comunque difficile trovare lavoro prima che si sia concluso l’iter della richiesta, che in media richiede due anni. È chiaro inoltre che i migranti minorenni siano un semplice “costo” (peraltro significativamente superiore rispetto ai migranti maggiorenni, perchè gli vengono riconosciuti maggiori diritti).

In un’ottica di lungo periodo, l’esperienza pregressa dimostra che il contributo netto alle finanze pubbliche di rifugiati e altre persone protette, pur partendo da una condizione di svantaggio, tende nel tempo ad avvicinarsi a quello di chi migra in maniera regolare. L’Ocse calcola che un capofamiglia di una famiglia migrante residente in Italia da almeno cinque anni fornisca in media un contributo fiscale netto (maggiori versamenti rispetto ai prelievi) di 9.000 euro l’anno. In altri paesi avanzati, in generale, l’impatto dei migranti sulle casse statali tende a essere neutro (raramente supera lo 0,5% del PIL del paese, in positivo o in negativo), e dunque non pesa né allevia significativamente la pressione sulle casse statali.

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