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Il ruolo dell’energia nel caos sul referendum in Kurdistan

Crescono le tensioni attorno al referendum sull’indipendenza del Kurdistan iracheno da Baghdad fissato per il 25 settembre. Una delle questioni più spinose tra i curdi e il governo iracheno è quella legata all’energia. La situazione non si è sbloccata nemmeno con le recenti pressioni della comunità internazionale capeggiata dagli Stati Uniti che hanno messo sul piatto maggiore autonomia nella gestione dei proventi petroliferi. Condizioni rifiutate dal presidente della regione autonoma Masud Barzani.

La questione più intricata riguarda la città multietnica di Kirkuk che da sola fornisce il 15% di tutte le riserve petrolifere irachene, greggio che si estrae a scarsissime profondità, a basso costo e ancora profittevole anche con gli attuali prezzi del barile. Negli anni di Saddam Hussein dal Kurdistan arrivava quasi il 40% di tutta la produzione irachena e per questo il governo di Baghdad si è sempre opposto all’indipendenza dei curdi e con maggiore forza all’annessione di Kirkuk da parte del Kurdiastan. Sia con che senza Saddam, il governo centrale ha sempre voluto gestire in autonomia le ricchissime rendite petrolifere, da smistare poi alle diverse province del Paese. La situazione è però cambiata nel 2014 quando l’esercito iracheno fu sbaragliato dalle forze dell’Isis. A salvare la città dagli uomini di Al Baghdadi furono i combattenti pashmerga. Da allora Kirkuk è di fatto dei curdi iracheni che non hanno nessuna intenzione di cederla.

I curdi gestiscono ormai i contratti petroliferi attraverso negoziati condotti in autonomia in aperto contrasto con il governo federale di Baghdad. A Erbil sostengono che Baghdad non abbia rispettato gli accordi che prevedevano la cessione da parte del Kurdistan iracheno di 550 mila barili di petrolio al giorno a Baghdad, equivalente più o meno a un quinto delle esportazioni totali dell’Iraq, in cambio del trasferimento alle autorità curde va il 17% del bilancio nazionale iracheno, affinché possano far fronte alle spese della pubblica amministrazione. Erbil vuole continuare a gestire in autonomia le proprie risorse energetiche. Un segnale molto forte in tale direzione è arrivata pochi giorni fa quando è stato formato un accordo la compagna petrolifera russa Rosneft per la costruzione di un gasdotto fino in Turchia che dovrà rifornire anche i mercati europei. Fonti vicine all’accordo hanno riferito che gli investimenti ammonterebbero a più di un miliardo di dollari. Con questa mossa la Russia si schiera dichiaratamente dalla parte dei curdi. La Turchia, tradizionalmente ostile al progetto di indipendenza di Erbil dall’Iraq potrebbe ottenere dei vantaggi garantendosi una nuova rotta per l’approvvigionamento energetico. Sul territorio turco corre anche l’oleodotto Kirkuk-Ceyhan, grazie al quale Erbil esporta il proprio petrolio sui mercati internazionali.

Come mette in evidenza un’analisi pubblicata su Stratfor, «una volta completata la pipeline trasformerà il modo in cui la regione autonoma nel nord dell’Iraq esporta la sua energia. E il suo effetto sulla politica regionale non sarà meno importante». Attraverso l’accordo siglato con i russi, il Kurdistan iracheno potrebbe affermare la propria indipendenza energetica dalla Turchia e dall’Iraq dotandosi di un’infrastruttura energetica in grado di garantire le esportazioni verso i mercati stranieri.

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