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Gaetano Salvemini e il mestiere di giornalista

Vittorio Feltri

Nel sessantesimo anniversario della sua morte (6 settembre 1957), mi piace ricordare un famoso pensiero di Gaetano Salvemini, sul mestiere di giornalista: “Noi non possiamo essere imparziali. Possiamo essere soltanto intellettualmente onesti, cioè renderci conto delle nostre passioni, tenerci in guardia contro di esse e mettere in guardia i nostri lettori contro i pericoli della nostra parzialità. L’imparzialità è un sogno, la probità un dovere“ (Prefazione a Mussolini diplomatico, 1932).

Ovviamente, sarebbe puerile pretendere da un Marco Travaglio o da un Vittorio Feltri, nella foto, (il suo Libero è ormai il re delle fake news sugli immigrati) l’adesione alla deontologia professionale professata dall’eminente antifascista pugliese. Ma la furia giustizialista dei principali quotidiani italiani è inquietante. Basta l’annuncio dell’apertura di un’inchiesta, un rinvio a giudizio, la richiesta di arresto per un esponente della “casta” (ormai, quasi un’entità metafisica), e subito scatta il “Tutti in galera!” urlato da Catenacci. Forse i più anziani se lo ricordano: era lo straordinario personaggio interpretato da un esilarante Giorgio Bracardi in “Alto gradimento”, la leggendaria trasmissione radiofonica degli anni Settanta nata dall’estro di Renzo Arbore e Gianni Boncompagni. A chi gli obiettava che occorrevano le prove, Catenacci rispondeva: “Ma chettefrega?”.

Oggi la sua risposta interpreta il comune sentire di buona parte dell’opinione pubblica. Non solo quella, per intenderci, manipolata da Beppe Grillo, Matteo Salvini e, più in generale, dai social network. Forse anche grandi firme del Corriere della Sera e di Repubblica hanno qualche responsabilità se i principi dello Stato di diritto in Italia spesso sono considerati un optional.

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“I politici usano le statistiche come un ubriaco usa i lampioni: non per la luce ma per il sostegno” (Politicians use statistics like drunkards use lampposts: not for illumination, but for support). La paternità di questo aforisma è incerta. Di volta in volta, è stata attribuita a Gilbert Keith Chesterton, Benjamin Disraeli, Hans Kuhn, Mark Twain. Ma che importa? Ciò che importa è che è stato partorito dalla penna di una mente geniale. Basta guardare al dibattito domestico sulla crescita del Pil, sull’occupazione e sulle disuguaglianze sociali per rendersene conto.


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