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Scuola, vi spiego perché il costo standard non è una beneficenza

Di Giuseppe Richiedei
costo standard

Il “costo standard” inteso come “quota capitaria”, che lo Stato investe nella propria scuola in favore di ogni allievo per la sua formazione, è stata posta al centro del dibattito culturale da Suor Anna Monia Alfieri con il saggio: Il diritto di apprendere. Nuove linee di investimento per un sistema integrato, ed. Giappichelli, 2015, di Alfieri, Grumo, Parola.

Il punto di partenza è costituito dall’educazione, intesa come “un diritto e un servizio alla persona” prima che un “un dovere di frequentare obbligatoriamente” quanto lo Stato decide di insegnare nelle proprie scuole. Purtroppo,  nella scuola i diritti sono spesso proclamati sulla carta, ma non sono  affatto garantiti nella pratica: come nel caso della “scelta della scuola” per cui  in teoria le famiglie sono libere di scegliere la scuola, ma a prezzo di un costo aggiuntivo (le rette), che solo gli abbienti possono permettersi, mentre gli indigenti devono adeguarsi a quanto la scuola gratuita di Stato decide di offrire loro.

Tutto questo nonostante che dal 1948 la Costituzione affermi chiaramente che “La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo .. e rimuove gli ostacoli di ordine economico che limitano di fatto la libertà dei cittadini (art. 2,3). Attraverso la gestione delle risorse economiche lo Stato italiano continua a impedire  la libertà di scelta delle famiglie e a condizionare le scuole paritarie, gestite da enti privati. In cambio del riconoscimento dei titoli di studio, assegnati dalle scuole paritarie, lo Stato si riserva il diritto di “autorizzare, accreditare, vigilare, sulle stesse” senza impegnarsi ad un conseguente finanziamento economico, in modo  che possano essere frequentate gratuitamente alle  famiglie più povere.

A questo proposito la legge sulla “Buona scuola” aveva fatto intravedere uno spiraglio di novità quando prometteva “l’istituzione di una quota capitaria per il raggiungimento dei livelli essenziali, prevedendo il cofinanziamento dei costi di gestione, da parte dello Stato” ( comma 181,e,4), come dire che il criterio dei finanziamento sarebbe diventato l’allievo e il suo costo, inteso però come diritto e non come beneficenza discrezionale dello Stato.

Purtroppo nei decreti attuativi di quella legge non vi è più traccia di questa impostazione culturale e giuridica, per tornare alla più rigida impostazione statalistica che “provvede all’erogazione delle risorse” a chi vuole la burocrazia, ignorando  il diritto dell’allievo e delle famiglie.

Il tutto viene visto e strutturato in funzione delle esigenze delle scuole, degli uffici, degli operatori, delle finanze statali, mentre i diritti del cittadino sono  considerati “un derivato” ovvio e scontato. Le domande, i diritti,  la soddisfazione degli studenti e delle famiglie, che dovrebbero essere, per dettato costituzionale,  il fine di un servizio scolastico democratico sono ridotti ad “effetti collaterali” di quanto le autorità scolastiche e politiche decidono.  Le risorse economiche sono considerate  “proprietà dello Stato che le distribuisce a chi  e alle condizioni che vuole” invece che “risorse pubbliche a beneficio del popolo e dei suoi diritti educativi”.

Il “costo standard” prima di essere uno strumento gestionale diventa la riprova che “i soldi spettano all’allievo” e non sono una  beneficienza dell’amministrazione statale, nemmeno una spettanza dovuta alle scuole. Il costo standard è il modo perché “la libera scelta delle scuola” non sia più un terreno di scontro ideologico tra partiti, ma la procedura trasparente, economica,  ed efficace perché l’Italia si allinei con i Paesi civili più avanzati, dove tutte le famiglie, sono trattate alla pari, ricche e povere che siano. Si tratta di arrivare ad un’autentica “parità familiare”.

Come suggerisce Suor Anna, “ Occorre intraprendere la madre di tutte le battaglie: dare ragione della centralità dell’allievo e della famiglia, sostenere il diritto costituzionale di scelta educativa, in una pluralità di offerta formativa pubblica, statale e paritaria”. “Un servizio è pubblico quando è accessibile a tutti in modo libero, senza alcuna preclusione né economica, né sociale né organizzativa”. È tempo che la scuola italiana diventi davvero pubblica.

Giuseppe Richiedei,

Consigliere nazionale dell’Associazione genitori (A.Ge.)

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