Capitai in Catalogna parecchio tempo fa, a metà degli anni Ottanta, quasi per caso. Un paese di nome Cadaques, sconosciuto ai più, ma noto ad artisti e sognatori per essere la dimora estiva di Salvador Dalì, avrebbe dovuto essere la prima tappa di una lunga zingarata estiva nella penisola iberica.
Da pochi anni era caduto il regime, la Spagna si stava adoperando e organizzando per il suo nuovo vestito democratico. Fui subito colpito dalla bellezza di quel borgo: un susseguirsi di case bianche, una piazzetta con pochi negozi e qualche ristorantino, soprattutto un paio di bar sulla spiaggia dove sedeva il mondo e dove potevi trascorrere ore a bere, parlare in un inglese maccheronico con persone di ogni nazionalità. Già, i tavolini e le sedie del bar erano i social di quei tempi.
Ma ciò che più mi colpì era la disponibilità, cordialità e la simpatia degli amici nativi del posto conosciuti in quei giorni. Fu durante una allegra serata in loro compagnia, mentre a cena con una ragazza che mi intrigava parlavamo dei nostri rispettivi Paesi e sciorinavo i classici del repertorio da Venezia, Roma e Firenze – ovviamente da parte mia con malcelati fini tutt’altro che culturali – che scoprii lo spirito catalano. Le dissi quanto mi piacesse la Spagna. Mi chiese cosa avessi visto della Spagna. Risposi “Qui, Cadaques!”. Rispose irrigidendosi “Qui non è Spagna, è Catalogna”. Commisi l’errore di voler controbattere le sue affermazioni ottenendo il solo risultato di farla arrabbiare e… lasciamo perdere.
Da allora, sono tornato spesso a Cadaques in vacanza e negli ultimi anni pure per mestiere. L’ho vista svilupparsi, crescere molto pur mantenendo nell’antico borgo le sue caratteristiche originali. È cambiato il turismo, girano più famiglie e meno artisti squattrinati. La casa di Dalì a Port Lligat è sempre meta di visitatori così come il museo del geniale, folle Maestro a Figueras, la sua città natale. Una cosa non è di certo cambiata negli anni: è lo spirito, l’essenza della loro identità che, da secoli, è sempre radicata e viva nell’anima dei catalani. Ed io, da allora, non ho più commesso l’errore di confonderli.
Quindi, se Madrid pensa di poter gestire la questione come sta facendo in questi giorni, delle due l’una: o non conosce i catalani o finge di non conoscerli. In ogni caso commette un grave errore scegliendo la forza, gli arresti e la repressione invece del dialogo. Gravissimo errore.