Anche gli agenti dello spettacolo sono entrati nell’affollato inner circle nostrano dei soggetti in conflitto di interesse. Siamo il Paese delle conventicole e, quindi, non è una novità. La vera novità è che da qualche anno sia pure in maniera altalenante stiamo in qualche modo affrontando questo tema che danneggia la libertà politica, economica e professionale del nostro Paese.
Il fenomeno del conflitto d’interessi è purtroppo molto diffuso in tutti i settori e spesso da noi lo si giustifica utilizzando strumentalmente l’argomento della competenza. “Perché così tanti incarichi affidati a Tizio?” “Perché è il più bravo ed esperto”. “Nessuno lo mette in dubbio, ma Tizio siede anche nel CdA di una società concorrente!”. “Vero, ma quell’incarico non è incompatibile con le funzioni che gli abbiamo affidato, anzi ci rassicura“. Se vabbè, boom, verrebbe da dire. Eppure queste sono le risposte che ricevi, anche messe per iscritto. Fino a qualche anno fa, se denunciavi ad un rappresentante del governo o del Parlamento che una nomina fosse incompatibile perché in conflitto d’interesse, ti guardavano come un marziano, Oggi quantomeno fingono di prendere appunti.
Non è, quindi, una sorpresa che anche il mondo dello spettacolo e della cultura ne sia ricco. Molto spesso questi conflitti sono presenti dove operano monopoli o oligopoli, qual è appunto il mondo degli agenti dello spettacolo. Alcuni agenti hanno creato società di produzione attraverso le quali vendono programmi alle reti televisive e, al contempo, piazzano negli stessi programmi i propri artisti. L’agente così guadagna sia sulla produzione che sul cachet dell’artista. Si tratta di una sorta di integrazione verticale che rischia di limitare opportunità sia per le altre case di produzione che per gli artisti che non fanno parte di una determinata agenzia. Anche gli attori, i musicisti e persino i doppiatori spesso sono costretti a iscriversi ad una specifica società di gestione collettiva su “gentile indicazione” del proprio agente, pena il rischio di non lavorare più.
Basta guardare i profili delle persone che siedono ai vertici delle società di gestione per rendersene conto. È il tipico “salotto romano” dove avvocati dello spettacolo, agenti, produttori, autori e artisti sono seduti ai tavolini del famoso Bar Vanni o da Settembrini – nel quartiere Prati – tutti insieme a discutere appassionatamente su come spartirsi la torta.
Bene ha fatto, quindi, la Commissione di Vigilanza sulla Rai ad approvare all’unanimità la risoluzione promossa dal deputato Michele Anzaldi, in foto, e speriamo che questa sortisca qualche effetto. Beninteso, il tema non riguarda solo la Rai, riguarda l’intero settore dell’intrattenimento, dove – se si vuole indagare – si troveranno spesso situazioni di cartello o abusi di posizione dominante a favore di questo o di quel soggetto. Se abbiamo deciso di liberalizzare dobbiamo poi vigilare. Per questa ragione, è importante che l’Agcm e l’Agcom non sottovalutino i conflitti d’interesse manifestamente presenti nel settore. Non c’è bisogno di altre leggi, ma di una vigilanza attenta e rigorosa. Non possiamo insomma accontentarci di un’autocertificazione qualsiasi per metterla nel cassetto. Questi conflitti sono gravi perché danneggiano le imprese e le professionalità. Concorrenza vuol dire anche maggiore qualità; c’è scritto anche nella Direttiva Barnier.
@FraSchlitzer