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Così pure su Twitter la propaganda russa ha picchiato contro Hillary Clinton

hillary clinton

Lo scandalo dei social network manipolati da agenti russi per condizionare l’opinione pubblica americana si è allargato ulteriormente, e coinvolge ora anche la piattaforma di cui tutti stanno parlando in queste ore per via della decisione di raddoppiare il numero di caratteri dei messaggi: Twitter.

Come evidenzia il New York Times in un articolo pubblicato stamattina, l’azienda di messaggistica da trecento milioni e passa di utenti sarebbe stata manipolata dalle spie russe non solo, com’è avvenuto per Facebook, durante la campagna presidenziale del 2016, ma anche nelle ultime settimane, durante le quali agenti di Putin, nascosti dietro account fasulli o automatizzati, hanno attizzato l’infuocata polemica sull’inno nazionale.

Per ricostruire i comportamenti delle spie russe, il quotidiano della Grande mela attinge al lavoro di ricerca realizzato dall’Alliance for Securing Democracy, iniziativa che fa capo all’istituto German Marshall Fund di Washington. I ricercatori coinvolti nell’indagine hanno individuato e ricostruito il lavorio di oltre seicento profili Twitter, dietro ai quali si nascondono sia persone in carne ed ossa riconducibili a Putin, sia i famosi “bot”, account robotizzati che simulano il comportamento di utenti veri e propri. Questi account hanno pubblicato nelle ultime tre settimane un’ottantina di messaggi, storie e notizie relativi alla polemica sulla N.F.L. e sull’inno nazionale, lanciando hashgtag come #boycottnfl, #standforouranthem e #takeaknee.

La notizia è dunque che la Russia, dopo che è stato acclarato il suo ruolo nelle presidenziali del 2016, continua la sua campagna di influenza negli Stati Uniti. Un’operazione sofisticata che ha potuto agire indisturbata fino a quando le rivelazioni di queste ultime settimane hanno scoperchiato lo scandalo. Che fino ad oggi sembrava coinvolgere solamente il più popolare social della terra, Facebook, ma che oggi trascina anche il social dei 140 caratteri (passati ora a 280).

Stando a quanto emerso sinora, durante la campagna per le presidenziali agenti russi hanno creato e gestito centinaia di migliaia di falsi profili Twitter che hanno disseminato messaggi negativi sulla candidata Hillary Clinton, cui Mosca evidentemente voleva fare lo sgambetto. L’azienda di cybersecurity FireEye ha scoperto una lista di profili che hanno fatto uso di hashtag come “guerra contro i democratici”, twittandoli decine di volte al minuto. Altro tema agitato dai propagandisti russi è stata la responsabilità di Clinton nell’attacco di Bengasi dell’11 settembre 2012, che causò la morte dell’ambasciatore Cristopher Stevens e di altri membri dell’ambasciata libica. Ma la campagna di influenza russa non ha preso di mira esclusivamente Clinton o il Partito Democratico. Sta affiorando infatti una predilezione per temi capaci di infiammare l’opinione pubblica e dividerla lungo linee ideologiche. Come ha dichiarato al New York Times Laura Rosenberg, direttore dell’Alliance for Securing Democracy, i messaggi diffusi dai russi “non avevano tanto a che fare con la politica, con specifici partiti o uomini politici”, quanto con la volontà di “creare divisione sociale, identificando temi divisivi e allargando l’incendio”.

Il capo dei democratici alla Commissione Intelligence della Camera dei Rappresentanti, il deputato della California, Adam Schiff, ha detto che a questo punto si aspetta che Twitter si adoperi per scoprire chi ci sia effettivamente dietro gli account, che cosa costoro abbiano fatto sulla piattaforma e che tipo di effetto abbia potuto provocare tutto ciò. Per incalzare l’azienda, Schiff ha ricordato che Facebook inizialmente si era trincerata nel silenzio quando era emersa la possibilità che spie russe si fossero avvalse del social per manipolare l’opinione pubblica, salvo poi cambiare atteggiamento all’inizio di settembre e iniziare a mettere a nudo cosa sia successo sulla piattaforma, e cominciare a collaborare con le autorità investigative.

In una dichiarazione ufficiale, Twitter è venuta allo scoperto, dicendo che la compagnia “rispetta profondamente l’integrità del processo elettorale, chiave di volta di tutte le democrazie, e continuerà a rafforzare la sua piattaforma per contrastare i bot e altre forme di manipolazione che violano i nostri termini di servizio”. Ha anche detto che si sta adoperando per cancellare quei bot che diffondono tweet a ripetizione o che cercano di entrare nella lista degli hashtag più popolari.

Schiff ha rivelato quindi che i Big della rete hanno chiesto a questo punto l’assistenza dell’intelligence Usa per mettere a nudo il ruolo delle spie russe e la loro interferenza sulla vita pubblica americana. Ieri la Commisssione Intelligence della Camera ha annunciato che ad ottobre terrà un’udienza pubblica sulla campagna di influenza russa e che il 1 novembre saranno auditi i manager di Facebook, Twitter e Google.

Secondo Mark R. Jacobson, docente all’Università di Georgetown e autore di un rapporto di ricerca sulla campagna di influenza russa sui social, gli scopi di questa azione diabolica russa nel mondo dei social erano molteplici. Oltre a condizionare il voto in favore del candidato Trump, vi era l’intenzione di mettere in cattiva luce gli Stati Uniti, indebolendone l’attrattività del suo modello sociale agli occhi del mondo e, conseguentemente, l’influenza internazionale del paese.

Diavolo di un Twitter.

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