È un sinistro filotto di crack nel settore confidi, quello che sta andando in scena in Piemonte. Dopo il fallimento di Eurofidi, un anno fa, un altro consorzio piemontese è finito in liquidazione. Si tratta di Unionfidi Piemonte, trascinato – oltre che da una situazione finanziaria compromessa – dalla vicenda delle Popolari Venete, in particolare Veneto Banca, di cui il consorzio deteneva una partecipazione.
LA CRISI DI UNIONFIDI
Unionfidi è un consorzio di garanzia collettiva di cui fanno parte l’Unione industriale e l’Api di Torino. Il suo obiettivo era agevolare l’afflusso al credito delle imprese associate: di fatto, permettere a piccole aziende di ottenere prestiti grazie a garanzie comuni. Il sistema dei confidi, però, è entrato in crisi, e con esso Unionfidi. Da tempo il consorzio era in sofferenza e a inizio 2017 le ispezioni della Banca d’Italia ne hanno messo in luce tutti i problemi. Il portafoglio garanzie della società, negli anni, si è deteriorato a causa di vari fattori, fra cui spiccano la riduzione dei contributi pubblici e la concorrenza esercitata dal Fondo centrale di garanzia del Ministero dello sviluppo economico. Di fatto, Unionfidi si è così trovato con una grande mole di crediti inesigibili, che lo hanno costretto a incrementare gli accantonamenti del proprio fondo rischi per 13 milioni di euro. Pesanti le conseguenze sulla situazione finanziaria, con una perdita di esercizio arrivata a circa 15 milioni. Secondo una stima dell’agenzia Crif Ratings, a fine 2016 le attività finanziarie disponibili erano poco più di 35 milioni, su un totale di garanzie rilasciate di 335 milioni, quasi dieci volte tanto. Peraltro i dati confermavano che il portafoglio garanzie andava continuamente deteriorandosi.
IL RUOLO DI VENETO BANCA
Al netto della generale crisi dei confidi, parte dei problemi di Unionfidi nasce dalla sua partecipazione in Veneto Banca. Una partecipazione pari a circa 1,7 milioni, che si è svalutata pesantemente dopo la crisi delle popolari venete.
La vicenda è ricostruita da Linkiesta, che riassume così lo scambio di azioni e obbligazioni subordinate avvenuto fra Unionfidi e Veneto Banca: “Si legge nel bilancio 2016, l’ultimo redatto dall’istituto (Unionfidi, ndr), che nel 2012 e 2014 Unionfidi ha emesso dei prestiti subordinati rispettivamente per 2 e 1,3 milioni (sottoscritti da Veneto Banca) e che questo sia potuto avvenire in cambio della sottoscrizione di azioni di Veneto Banca stessa. Azioni poi svalutate, quando il valore è crollato da 30 euro a 10 centesimi”. Successivamente il consorzio ha avviato un contenzioso civile nei confronti della banca. In sostanza, Unionfidi ha concesso garanzie a Veneto Banca e in cambio ha ottenuto una partecipazione nella banca stessa, che però si è svalutata nell’ambito del naufragio delle popolari venete. E così, la mazzata che si è abbattuta sugli azionisti di Veneto Banca non ha risparmiato il consorzio piemontese, anzi ne ha decretato la fine.
I SOCI NON RICAPITALIZZANO
Questo ha aperto la strada alla liquidazione, che porta con sè un futuro fosco per i 55 dipendenti. “Il 7 luglio abbiamo presentato all’assemblea il bilancio chiuso con una perdita che teneva conto dei maggiori accantonamenti prudenziali dovuti alle rettifiche ispettive – ha spiegato a Repubblica il direttore generale Giuliano Sanlorenzo – Ma i soci non sono stati disponibili alla ricapitalizzazione, per questo Unionfidi è stata messa in liquidazione”.