La lunga marcia è durata quattro anni, sei mesi e un giorno. Ma oggi, 15 settembre, i 608 maratoneti di tutti i colori politici e alla loro prima corsa tra Camera e Senato (sui 945 parlamentari più i cinque senatori a vita), arriveranno all’agognato traguardo: il vitalizio per tutti. Insieme hanno vinto. Ora potranno tornare a dividersi e a litigare su tutto il resto. L’obiettivo raggiunto è una pensione di fatto tra i 1.000 e 1.100 euro netti al mese, che Lorsignori potranno incassare a partire dai sessantacinque anni. Ma anche più sostanziosa e prima, la prebenda, per chi avesse altre legislature alle spalle o fosse rieletto: sessant’anni, ecco il nuovo limite minimo.
E’ una prospettiva meno oscena rispetto ai criteri da scandalo con cui il Parlamento s’è regolato i suoi privilegi per troppi anni. Ma ancora lontanissima dalla realtà di milioni di italiani per quantità di anni di lavoro necessari, come requisito, affinché scatti il diritto. Per l’età sempre più avanzata nel tempo in cui poter andare in pensione. E soprattutto per la diversità dei compiti. Lavorare per quarant’anni in miniera, a scuola, in un’impresa o nell’orbitante Stazione Spaziale, non è proprio la stessa cosa che rappresentare gli italiani nel luogo più sacro della Repubblica. Un onore, una missione, un servizio ai cittadini che già di per sé dovrebbero “appagare”: cosa c’è di più bello e nobile che l’essere eletti nel tempio della democrazia per contribuire in modo concreto – e giustamente ben retribuito -, al futuro della nazione?
Eppure, molti onorevoli non colgono l’indignazione dei cittadini. Cavalcata, invece, dai Cinque Stelle, che sul bollente tema hanno costruito buona parte della loro fortuna elettorale.
Lassù, nel lontano Palazzo, ancora non si comprende che il vitalizio è diventato l’insopportabile emblema della casta, che si fa e disfa la tela previdenziale come vuole. Anzi, se la fa e basta, perché il testo del deputato Richetti (Pd) già approvato alla Camera per cercare di equiparare i vitalizi tra ieri e domani, s’è arenato a Palazzo Madama. Un testo pasticciato, “a rischio di incostituzionalità”, come dicono i compiaciuti detrattori, che si dondolano sui cavilli e sul presunto attacco ai “diritti acquisiti”. Ma anche un pasticciaccio è meglio di niente, se imprime una svolta. Intanto, aggiorniamo pure quella vecchia, ma celebre canzone: se potessi avere, mille euro al mese…
(Articolo pubblicato su L’Arena di Verona, Il Giornale di Vicenza e Bresciaoggi ed è tratto dal sito www.federicoguiglia.com)