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Airbnb, Amazon, Facebook e Google. Ecco la posizione dell’Europa su Web tax e Iva

Una tregua armata, che potrebbe accontentare tutti. Alla vigilia del Digital Summit di Tallin, il vertice dei capi di Stato e di governo della Ue per discutere della web tax, Italia, Francia, Germania e Spagna, già artefici dell’iniziativa per tassare il fatturato e non gli utili delle internet company presentato allo scorso Ecofin, firmano una nuova proposta congiunta per equiparare il versamento dell’Iva dell’economia digitale a quello delle aziende tradizionali. Una proposta che Formiche.net è in grado di anticipare (allegato PDF) e che sembra un compromesso – c’è chi dice al ribasso – ma anche un modo per monetizzare al più presto la scappatoia fiscale dei colossi della Rete. Un compromesso che ha una tesi di fondo semplice semplice: far pagare l’imposta sul valore aggiunto nel Paese dove si fattura il bene o il servizio acquistato.

ITALIA IN PRIMA FILA

Il governo italiano vuole accelerare l’introduzione di un regime fiscale equo per i cosiddetti Gafa (Google, Amazon, Facebook, Apple) e gli attori della sharing economy come Airbnb e Booking.com per ricordare le più famose web company. Bisogna assicurare che “lo stesso contenuto, bene o servizio sia soggetto a Iva nello Stato di consumo, senza pensare alla sua natura fisica o digitale” – si legge nella Joint initiative dei quattro governi – Perché bisogna fare in modo che “i nuovi modelli di business siano tassati efficacemente”. “Non ha senso applicare un doppio standard che in ultima analisi altera le condizioni della concorrenza”. Sulla web tax, il documento ribadisce l’approccio dell’Ecofin cioè che “servono cambiamenti alla legislazione per assicurare che i profitti tassabili siano attribuiti dove viene generato il valore, per evitare l’erosione della base imponibile e lo spostamento dei profitti”. Bisogna però cambiare l’attuale sistema, “basato sullo stabilimento permanente” delle imprese (stabile impresa), perché è un approccio “non adatto al business digitale”, che ha una ridotta presenza materiale. “Questo ha portato ad una situazione di mancate entrate per quei Paesi dove le aziende generano profitti in modo remoto con scarsa o nessuna presenza”.

SIA UE PROTAGONISTA DEL CAMBIAMENTO

“La Ue è il contesto più appropriato per definire un approccio comune che possa agire come leva per una soluzione globale” – si legge ancora – “chiediamo al Consiglio di discutere e decidere in fretta e sulla base della proposta della Commissione in linea con l’approccio G20/Ocse le misure necessarie per affrontare le sfide della tassazione digitale, mentre sosteniamo il progresso tecnologico”. La stessa Commissione ha messo a punto qualche giorno fa tre proposte per tassare l’economia digitale: un’imposta sul fatturato delle società digitali; una trattenuta alla fonte sulle transazioni; una tassa sui redditi generati dalla fornitura di servizi digitali o sulle attività pubblicitarie. Nella comunicazione Ue non c’è, però traccia di aliquote, ma si sa che se dovesse passare l’idea di un’imposta sul giro d’affari e non sui profitti l’aliquota dovrà essere inevitabilmente bassa (si parla di una forchetta 1-6%).

SOLUZIONE GLOBALE CON IL G20 O COOPERAZIONE RAFFORZATA

Tuttavia la soluzione migliore per la Ue, ha indicato la Commissione, è un accordo a livello globale (magari nell’ambito dei G20). Per questo gli Stati dell’Unione devono avere una forte e chiara posizione comune. Bruxelles chiede che si trovi una soluzione internazionale entro la primavera 2018. Se non ci saranno progressi, la Ue è pronta a definire proprie soluzioni. E in assenza dell’unanimità dei 27 Paesi (La Gran Bretagna viene esclusa dal gioco in quanto in uscita) ci sarebbe comunque un’alternativa, ricorrere alla “cooperazione rafforzata”: è una procedura, prevista dai Trattati, che consente ad almeno nove Paesi di applicare la tassazione ai giganti del Web, che supera quindi l’obbligo di raggiungere una posizione unanime. “La procedura – spiega una fonte di governo a Formiche.net – è stata progettata proprio per superare la paralisi che si verifica quando una proposta è bloccata da un singolo Stato o da un piccolo gruppo di Paesi che non vogliono far parte dell’iniziativa”. Tra questi ci sono, nel caso specifico, Irlanda, Lussemburgo, Olanda: gli Stati con regimi da paradiso fiscale che non sembrano affatto intenzionati a dare il via libera all’iniziativa.

GUERRA COMMERCIALE CON GLI STATI UNITI

Altro tema non secondario è una possibile guerra commerciale tra Europa e Stati Uniti. L’avvertimento per un potenziale conflitto è arrivato dalla Camera di Commercio americana per bocca della sua presidente, Susan Danger: “Una azione unilaterale da parte dell’Unione Europea metterebbe seriamente a rischio gli sforzi internazionali per risolvere le questioni fiscali”. Tradotto: la webtax ridurrebbe gli investimenti, peserebbe sull’occupazione, penalizzerebbe le giovani aziende.


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