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Intesa Sanpaolo, Mps, Unicredit, Banco Bpm e non solo. Tutte le stime (negative) sugli effetti delle norme Bce per gli Npl

Banco Popular

Iniziano a fioccare stime e previsioni sull’impatto negativo per le banche italiane delle nuove regole in fieri da parte della Bce sugli Npl che saranno in consultazione fino a dicembre. Tanto che alcuni editorialisti come Angelo De Mattia (nella foto), già ai vertici della Banca d’Italia, chiedono di sospendere del tutto la consultazione, come si legge oggi sul quotidiano Mf/Milano Finanza.

Secondo le prime proiezioni di Equita, il costo del rischio nel primo biennio per le banche italiane dovrebbe salire di una decina di punti base, portando il costo dei nuovi accantonamenti a 1,3 miliardi annui. Più costi per le svalutazioni farebbero scendere la redditività (-60 punti base in termini di Rote adjusted nel 2019), portando i profitti del settore in calo dell’8%, si legge sul Sole 24 Ore di oggi.

L’intento della Bce, diceva ieri Credit Suisse in una nota, è di «evitare la creazione di un elevato stock di Npe per il futuro». Certo è che il «calendar provisioning» si scontra con la realtà dei singoli paesi, che in Italia contempla anche tempi lunghi per il ripossessamento dei beni in garanzia, complice la lentezza dei Tribunali. Ecco perché è ragionevole prevedere un aumento dell’ incentivo a vendere Npl.

«Scende l’incentivo per le banche a originare e tenere sui libri prestiti non garantiti – ha detto Giovanni Razzoli, analista di Equita Sim – Le banche potrebbero diventare semplici distributori di prestiti unsecured che sono poi ceduti a soggetti terzi», e questo a catena potrebbe portare a un calo dei ricavi. Non solo, scrive oggi il Sole 24 Ore, in generale è destinato ad aumentare il prezzo dei prestiti per retail e Pmi, con un inevitabile impatto sugli investimenti delle aziende. Ma soprattutto è destinato a cambiare l’umore del mercato. Le misure previste dalla Vigilanza potrebbero far emergere dubbi del mercato sulla tenuta rispetto alla tenuta dei livelli minimi patrimoniali e sulla capacità di erogare un payout nel lungo termine.

“Al lordo di questa voce – scriveva ieri il Sole – le elaborazioni formulate da Prometeia sulle prime dieci banche commerciali italiane prevedono la necessità di coperture aggiuntive per 300 milioni nel 2018, destinate a salire a 3,1 miliardi nel 2019 e poi a crescere ancora fino ad avvicinarsi ai 10 miliardi quando le svalutazioni automatiche saranno ormai entrate a regime, cioè nel 2024 (anche se prima di allora lo scenario potrà subire chissà quali altri scossoni)”.“Al lordo di questa voce – scrive il Sole – le elaborazioni formulate da Prometeia sulle prime dieci banche commerciali italiane prevedono la necessità di coperture aggiuntive per 300 milioni nel 2018, destinate a salire a 3,1 miliardi nel 2019 e poi a crescere ancora fino ad avvicinarsi ai 10 miliardi quando le svalutazioni automatiche saranno ormai entrate a regime, cioè nel 2024 (anche se prima di allora lo scenario potrà subire chissà quali altri scossoni)”.

Il team di analisti di Prometeia, in esclusiva per Il Sole 24 Ore, è riuscito a elaborare i dati relativi alle prime dieci banche commerciali italiane. Si legge sul quotidiano di Confindustria: “Nel 2018 l’impatto delle nuove soglie sarà contenuto: gli istituti oggi tendono a coprire più del 14% richiesto (cioè la quota di ammortamento di 1/7) i crediti garantiti mentre si tengono più bassi del 50% sugli unsecured, ma i due effetti si bilanceranno portando gli accantonamenti necessari a 7,3 miliardi, solo 300 milioni in più dei 7 miliardi oggi previsti. La musica è destinata però a cambiare dal 2019, quando gli unsecured andranno azzerati e i secured coperti al 29%: il fabbisogno aggiuntivo di coperture salirà a 9,1 miliardi, 3 in più dei 6 ipotizzati attualmente. E rischia di essere solo l’inizio: anziché calare, come contemplato dalla maggior parte dei piani industriali, il costo del rischio è destinato a salire progressivamente. Comportando, a meno di ulteriori giri di vite o allentamenti, un possibile aggravio in termini di svalutazioni pari a 10 miliardi nel 2024. «Da cui, però, andranno sottratti i recuperi che nel frattempo saranno stati conseguiti, al punto che se si dovessero rivelare in linea con le attuali attese il conto al 2024 potrebbe rivelarsi decisamente meno salato», conclude Giuseppe Lusignani, vice presidente della società di consulenza Prometeia.


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