Skip to main content

Buoni Pasto: come cambia la normativa

Il decreto sui buoni pasto approvato dal Parlamento e in vigore dal 9 settembre ha messo un po’ di ordine nella normativa, colmando alcune lacune finora lasciate aperte. Tra le novità più importanti, c’è l’ampliamento dei luoghi di utilizzo dei buoni pasto: si potranno, infatti, usare non più solo nei bar, ristoranti e supermercati, ma anche negli agriturismi, nei mercati rionali e perfino a bordo nei pescherecci e negli spacci aziendali. Gli utilizzatori avranno così la possibilità di scegliere tra una vasta tipologia di locali food a disposizione nella propria zona di lavoro.

Ora, con l’entrata in vigore della normativa, bisognerà capire se i piccoli commercianti e i proprietari di agriturismi, ad esempio, saranno in grado di intercettare parte dei buoni convogliati nella Grande distribuzione e se i pubblici esercizi riusciranno a registrare un aumento del proprio fatturato, anche in virtù di un’altra novità importante contenuta nel decreto: la possibilità di cumulare i buoni pasto fino a un massimo di otto nella stessa giornata.

La norma, di fatto, punta a regolare quella che ormai è un’abitudine consolidata tra coloro che utilizzano i buoni, cioè usarli per la spesa, e chiarire alcuni dubbi di natura fiscale.

Allo stesso tempo, però, solleva alcuni dubbi: in primis, la scelta di limitare il cumulo a un determinato numero di buoni anziché a una somma monetaria. In questo modo, infatti, la normativa rischia di essere involontariamente discriminatoria per il singolo utilizzatore. Chi possiede un buono pasto da 2 euro, può spendere al massimo 16 euro; mentre chi usa un buono da 7 euro può arrivare a spenderne fino a 56.

In ogni caso, il decreto ha comunque il merito di aver confermato alcune caratteristiche essenziali del buono pasto. Prima tra tutte, la natura di “servizio sostitutivo di mensa”. Ferma restando la possibilità di cumulare i ticket, infatti, i buoni pasto non sono e non saranno mai una moneta complementare. Non possono e non potranno quindi essere usati per acquistare di tutto (dal dentifricio ai detersivi) ma solo ed esclusivamente per comprare cibo e bevande.

La legge ha dunque il pregio di aver definito in modo più preciso le modalità di utilizzo dei buoni pasto, pur lasciando aperte alcune questioni. Non si prevedono, purtroppo, controlli e sanzioni tali da scoraggiare fenomeni elusivi, ma il nuovo decreto rappresenta comunque un tassello verso una maggiore regolamentazione del settore, che oggi in Italia vale quasi 3 miliardi di euro l’anno e coinvolge oltre 2,5 milioni di lavoratori. L’attenzione del Governo sul tema, infatti, è più che giustificata, se si pensa che il buono pasto continua a essere il benefit più amato da aziende e dipendenti, come rilevato anche dalla ricerca «Il Welfare aziendale in Italia. Edizione 2017» del Prof. Pesenti dell’Università Cattolica di Milano e Welfare Company.



×

Iscriviti alla newsletter