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Catalogna e non solo, perché l’Ue non può snobbare troppo gli indipendentisti. Report Fasone (Luiss)

Di Luiss Open

L’Unione europea sta nicchiando troppo sulla crisi catalana? O invece, come sostenuto da economisti del calibro di Alberto Alesina, ha di fatto incentivato i progetti separatisti? E se invece Bruxelles stesse facendo entrambe le cose allo stesso tempo? Una risposta ponderata è quella che fornisce Cristina Fasone – docente di Diritto pubblico comparato alla Luiss – nella sua ultima ricerca, intitolata “La secessione e il ruolo ambiguo delle Regioni nel diritto europeo”, pubblicata sul volume “Secession from a Member State and Withdrawal from the European Union” (edito da Cambridge University Press). Dove si legge fra l’altro che “l’Unione europea è stata tradizionalmente neutrale verso la struttura costituzionale interna dei suoi Stati membri e ha solitamente trattato con loro come se fossero dei ‘monoliti’. (…) Questa immagine ultra semplificata delle relazioni in essere tra i livelli di governo all’interno della Comunità europea e poi dell’Unione europea – spesso descritta come ‘regional blindness’ dell’Ue – è stata strumentale alla protezione del funzionamento del sistema legale comunitario. Per esempio ha consentito di attribuire agli Stati chiare responsabilità per eventuali violazioni delle norme comunitarie, senza badare alla loro struttura unitaria, regionale o federale che fosse; allo stesso tempo ha consentito di aggirare le difficoltà che sarebbero sorte nel caso l’Unione europea avesse deciso di gestire contemporaneamente una sua relazione con 74 regioni del continente dotate di poteri legislativi oltre che con 28 Stati membri”.

QUANDO BRUXELLES SI SCOPRE PIÙ “AMICA” DELLE REGIONI

Tuttavia “negli ultimi anni l’Ue ha mandato segnali contraddittori alle Regioni interne agli Stati membri, in particolare a quelle dotate di poteri legislativi. Il dogma comunitario che consisteva nel considerare le relazioni Stato-Regioni come rilevanti soltanto per la legge costituzionale domestica è stato in parte messo in discussione. Alcune disposizioni dei Trattati forniscono un indirizzo diverso, per esempio l’articolo 5(3) del Trattato sull’Unione europea oppure il Protocollo n.2 sull’applicazione dei principi di sussidiarietà e di proporzionalità. I tentativi di secessione in alcuni Paesi europei – da parte di Regioni che si sono trovate in posizione asimmetrica rispetto ai loro stati e che avevano già cercato senza successo di guadagnare maggiore autonomia – possono essere anche favoriti dal riconoscimento dell’Ue di un ruolo maggiore per le Regioni e dalla crescente attenzione che le istituzioni Ue stanno attribuendo all’organizzazione territoriale degli Stati membri”. Bruxelles, oltre a fornire visibilità istituzionale e incentivi economici alle regioni degli Stati membri, è arrivata perfino a “promuovere attivamente l’integrazione delle regioni all’interno del processo decisionale dell’Ue”. “Da questo punto di vista, l’Ue può essere vista come una forza destabilizzatrice tra gli Stati membri e le loro componenti interne”. L’autrice della ricerca cita vari esempi al proposito, tra cui l’istituzione del Comitato europeo delle Regioni avvenuta col Trattato di Maastricht, istituzione dotata di un ruolo consultivo rispetto a Parlamento, Commissione e Consiglio. Oppure la possibilità concessa ai ministri delle Regioni di partecipare alle riunioni del Consiglio europeo ogni volta che siano trattate materie regionali. Per non parlare dei meccanismi di finanziamento e aiuto allo sviluppo esplicitamente indirizzati a specifiche Regioni, prim’ancora che agli Stati.

“In altre parole, l’accresciuta libertà d’azione garantita alle Regioni per dare voce alle proprie preoccupazioni e per far filtrare le proprie richieste di autonomia nell’Unione europea ha favorito la costruzione di una nuova ‘lealtà’ verso l’Ue che è in competizione con quella verso gli Stati membri, e dunque fa lievitare l’appeal dell’opzione ‘uscita’ dall’attuale struttura nazionale”. Così si spiega, per esempio, l’esplicito riferimento europeista di molti indipendentisti catalani che, all’indomani della separazione dalla Spagna, sognano un’automatica annessione all’Ue.

ALCUNI PALETTI PER NON ALIMENTARE LA DESTABILIZZAZIONE

Alla luce di tutto ciò, “nel futuro l’Ue potrebbe stabilire nuove disposizioni ad hoc nei Trattati per definire i requisiti minimi che un territorio alla ricerca della secessione debba rispettare per poi chiedere l’ingresso nell’Unione. (…) Da una parte infatti è ovvio che una Regione che ottenesse l’indipendenza da uno Stato membro non sarebbe nella stessa identica posizione di un Paese terzo in cui la legge comunitaria non è applicata e in cui non esiste cittadinanza europea. Dall’altra, lo sviluppo pacifico e armonioso dell’integrazione europea potrebbe essere messo a rischio nel caso uno Stato secessionista fosse ammesso nel club dell’Unione europea senza tenere conto della illegalità della procedura di secessione e delle relazioni con lo Stato membro investito dalla secessione. Questi nuovi requisiti dovrebbero essere:

  1. a)il rispetto, nel corso della procedura di secessione, delle tradizioni costituzionali comuni degli Stati membri (articolo 6(3) del Trattato sull’Unione europea); ciò vuol dire che una secessione unilaterale che non passi per dei negoziati e per un accordo procedurale con il governo nazionale non sarà riconosciuta dall’Ue (…);
  2. b)il rispetto per una procedura che imponga allo Stato membro potenzialmente interessato dalla secessione e al territorio secessionista di sottomettere immediatamente all’attenzione della Commissione tutti i documenti, gli aggiornamenti e i risultati dei negoziati, e di attendere poi per un certo numero di anni prima che l’indipendenza sia pienamente ottenuta dal territorio che la richiede, in particolare con l’obiettivo di proteggere i diritti dei cittadini”.

Tali accorgimenti, secondo Fasone, avrebbe almeno tre effetti benefici. Primo, l’Unione europea potrebbe effettivamente monitorare fino a che punto “i valori della democrazia e dello Stato di diritto” siano rispettati durante i processi di secessione. Inoltre non ci sarebbe “un limbo giuridico per i cittadini” di un’area che decidesse di separarsi da uno Stato membro. Infine, “il bisogno di intraprendere una procedura che sia monitorata dall’Ue potrebbe spingere le parti coinvolte ad assumere un approccio più sincero e cooperativo, e creare in questo modo un disincentivo per le richieste più infondate di secessione”.

(articolo estratto da Luiss Open)



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