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Ecco perché Intesa Sanpaolo, Assicurazioni Generali e Unipol accettano la proposta sui bond Carige

Carlo Messina intesa sanpaolo

Entra nel vivo la proposta di conversione delle obbligazioni subordinate di Banca Carige, che riguarda titoli per un valore nominale complessivo di 510 milioni e che rappresenta uno dei bastioni del più generale piano di rafforzamento da 1 miliardo della banca ligure.

LE ADESIONI

Il primo scoglio della proposta sui bond, che saranno scambiati con titoli non subordinati ma a un prezzo ben più basso del valore nominale, sembra essere quasi superato. E questo perché i principali investitori istituzionali con in mano le obbligazioni oggetto dell’offerta hanno affermato che aderiranno o che pensano di farlo. La prima a uscire allo scoperta era stata Unipol, che dovrebbe avere in portafoglio bond del valore nominale di 75 milioni e che alla fine di settembre aveva mostrato apertura verso la proposta. Poi ieri, 10 ottobre, è stata la volta delle Generali che, con titoli per un valore nominale di quasi 60 milioni (rispetto agli 80 in portafoglio solo pochi mesi fa), hanno fatto filtrare tramite la stampa che accetteranno l’offerta. In particolare, il gruppo del Leone avrebbe deciso di aderire allo scambio per quanto riguarda la sua quota nel bond Tier 1 dal valore nominale complessivo di 160 milioni di euro. Il prezzo di scambio proposto dalla banca ligure guidata da Paolo Fiorentino è pari al 30% del nominale (mentre si sale al 70% per i titoli di tipo Tier 2). Sempre ieri ha confermato l’adesione all’offerta anche il ceo di Intesa Sanpalo, Carlo Messina (nella foto). La banca milanese, tramite Intesa Vita, avrebbe bond Tier 2 per una cinquantina di milioni di valore nominale. Sui titoli Carige “ci siamo mossi con valutazioni che mirano a minimizzare l’impatto per la banca. È ragionevole che la conversione possa portare al minore impatto”, ha detto Messina.

LE RAGIONI

Come mai i grandi investitori hanno optato per la conversione dei bond sia pure a un prezzo sfavorevole (cosa che Messina lascia chiaramente intendere)? Anzi tutto perché si tratta, dal loro punto di vista, di una opzione preferibile rispetto alla conversione azionaria, che era già stata passata al vaglio dall’ex ad di Carige, Guido Bastianini, sfiduciato anche per avere tentato questa operazione (il vicepresidente della banca e primo socio, Vittorio Malacalza, non avrebbe accettato di essere diluito nel capitale). Tra l’altro, le Generali hanno già dovuto subire la conversione delle subordinate in azioni nel Monte dei Paschi di Siena e difficilmente lo avrebbero sopportato facilmente per la seconda volta. Poi c’è una motivazione più generale: fare un piccolo sacrificio ora per rimettere in piedi la banca ligure potrebbe voler dire non dovere fare un grande sacrificio domani se per qualche motivo il piano di rafforzamento da 1 miliardo dovesse saltare. E negli ultimi tempi banche a assicurazioni sono state chiamate a fare diversi sforzi a livello di sistema per mettere in sicurezza le banche in difficoltà.

I PASSAGGI SUCCESSIVI

Certo, resta ancora un punto interrogativo sull’aumento di capitale di Carige da 560 milioni (60 milioni a servizio di una conversione) che come richiesto dalla famiglia Malacalza, prima azionista, avverrà con diritto di opzione in mano ai soci già esistenti. Gli attuali azionisti faranno la loro parte dopo che negli ultimi quattro anni hanno già dovuto mettere mano al portafoglio per ben due volte, con due aumenti di capitale da complessivi 1,65 miliardi? Il rafforzamento patrimoniale da 1 miliardo, come da richieste della Bce, dovrà avvenire entro la fine dell’anno. Gli interrogativi non resteranno ancora per molto senza risposta.


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