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Che cosa ha comprato la Galleria dell’Accademia di Firenze

Chi ha detto che i musei non comprano più opere d’arte? La risposta viene da Firenze, dalla Galleria dell’Accademia: “Sono acquisizioni di grande valore”, afferma il direttore del museo Cecilie Hollberg, “che attestano l’impegno di un grande museo autonomo come il nostro anche nel campo della ricerca, nell’arricchimento e valorizzazione delle proprie collezioni”. Si tratta di quattro tavole di Mariotto di Nardo (Firenze, 1365 circa-1424 circa), due sportelli raffiguranti coppie dei santi, rispettivamente Giovanni Battista con Nicola di Bari e Antonio abate con Giuliano, e due semilunette, una con l’angelo annunziante e l’altra con la Vergine annunziata, e del busto marmoreo ritraente Giovanni Battista Niccolini del celebre scultore toscano dell’Ottocento Lorenzo Bartolini.

Gli sportelli di Mariotto di Nardo, già sottoposti alla dichiarazione d’interesse da parte dello Stato, che erano esposti alla Trentesima Biennale Nazionale dell’Antiquariato conclusasi recentemente a Firenze, nello stand dell’antiquario Matteo Salamon di Milano, sono stati acquistati dalla Galleria dell’Accademia al prezzo di trecentomila euro. Negli stessi giorni della Biennale, Angelo Tartuferi, vicedirettore del celebre museo fiorentino e noto specialista di pittura antica, ha identificato le due semilunette con le figure dell’Annunciazione come parti terminali superiori dei medesimi sportelli ritagliate in epoca imprecisata, ma certamente anteriore alla fine dell’Ottocento, quando i quattro dipinti figuravano ancora puntualmente descritti nel catalogo della Galleria Corsini a Firenze. Mentre le tavole con le coppie di santi erano nella illustre collezione fiorentina ancora alla fine degli anni venti del Novecento, delle due semilunette si era persa ogni traccia. La Galleria dell’Accademia è riuscita ad assicurarsi, con una tempestività inconsueta per i musei italiani , anche questi ulteriori dipinti ricomparsi sul mercato, al prezzo di centosettantamila euro.

Si tratta nel complesso di valutazioni economiche perfettamente in linea con i valori di mercato interno per i dipinti dei cosiddetti Primitivi, ma certamente sottostimate se le opere fossero andate sul mercato internazionale. In tal modo si è potuto avviare la ricomposizione di un tabernacolo, che doveva essere di notevoli dimensioni, e frutto di una commissione molto importante, forse ancora una volta da parte degli stessi Corsini, per i quali Mariotto di Nardo aveva già lavorato in gioventù. I quattro dipinti sono caratterizzati da una finissima e preziosa decorazione in pastiglia dorata, arricchita ulteriormente da una copiosa granitura della superficie, eseguita secondo le indicazioni tecniche descritte da Cennino Cennini nel Libro dell’Arte. Mariotto di Nardo fu indicato già dal Vasari come figlio di Nardo di Cione e, quindi, nipote di Andrea Orcagna, ma tale affermazione è stata riconosciuta come veritiera soltanto in tempi recenti. Artista dalla lunga carriera, i cui dipinti più antichi si datano intorno al 1380, è già rappresentato in Galleria con un polittico in ottimo stato di conservazione eseguito anch’esso su commissione della famiglia Corsini e proveniente dalla chiesa del monastero di San Gaggio a Firenze. Formatosi nella fondamentale cerchia degli Orcagna e dei loro seguaci più diretti, l’artista sperimentò nella fase matura della sua carriera (cui appartengono le opere ora acquisite) sia i fermenti culturali e stilistici neogiotteschi della fine del Trecento, sia le suggestioni della pittura tardogotica sull’esempio di Lorenzo Monaco e Gherardo Starnina, mantenendo tuttavia con forte coerenza e sperimentata capacità professionale il suo linguaggio solenne e posato.

Il busto di Bartolini, esposto alla stessa Biennale nello stand dell’antiquario fiorentino Giovanni Pratesi, è stato invece generosamente donato al Museo dall’Associazione Amici della Galleria dell’Accademia di Firenze, e porta con sé una piccola curiosità tinta di “giallo”. Secondo le note all’elenco de “Le opere presenti nello studio di Lorenzo Bartolini al momento della morte” redatto dal suo fedele allievo, Eliso Schianta, il modello in gesso di Niccolini non fu “mai eseguito in marmo”, tuttavia una scultura del letterato fu presentata pochi anni dopo a Firenze, dagli eredi dell’artista pratese, all’Esposizione Italiana agraria, industriale ed artistica del 1861. Dopo questa pubblica presentazione la collocazione del busto in marmo fu citata, nelle diverse monografie dedicate allo scultore, come “sconosciuta”. Ricomparsa solo qualche anno fa nel mercato antiquario, dopo oltre un secolo e mezzo, grazie a questa donazione, la scultura in marmo e il modello in gesso sono di nuovo l’una accanto all’altro. Entrambi firmati e datati i busti presentano come unica difformità, quella della dimensione. Stilisticamente identici, i due ritratti presentano il Niccolini con un’espressione leggermente contrita. I capelli – finemente modellati – ricadono morbidamente sulla fronte, unico vezzo dato al ritratto improntato all’antica.

Lorenzo Bartolini deve la sua formazione artistica e culturale al prolungato soggiorno parigino ed in particolare all’esperienza fatta presso lo studio del pittore Jacques-Louis David (Parigi 1748-Bruxelles 1825). Tornato a Firenze, divenne (proprio grazie alle sue precedenti frequentazioni francesi) uno dei maggiori ritrattisti dell’epoca con committenze provenienti anche da importanti famiglie europee, prima fra tutti quella di Napoleone Bonaparte. Il legame con la famiglia Bonaparte gli comportò pesanti difficoltà dopo la sconfitta dell’imperatore in modo che i primi committenti furono soprattutto inglesi, spagnoli e russi. In seguito all’esperienza parigina Bartolini nei suoi ritratti riuscì a coniugare al rigore formale della posa, la naturalezza espressiva, caratterizzando sentimentalmente ogni soggetto rappresentato. Questa peculiarità stilistica si ritrova anche nel ritratto di Giovanni Battista Niccolini (San Giuliano Terme, Pisa 1782-Firenze 1861), che lo scultore eseguì nel 1827, l’anno in cui il letterato e tragediografo pisano portò in scena per la prima volta, presso il teatro del Cocomero di Firenze, l’opera “Antonio Foscarini”. La tragedia, dal carattere esplicitamente politico, se da una parte comportò svariate polemiche dall’altra suscitò il plauso di un nutrito gruppo di intellettuali fiorentini che dettero avvio ad una sottoscrizione pubblica che culminò, nel 1828, con il conio di una medaglia in suo onore. Il ritratto del Niccolini, liberamente ispirato dal gesso bartoliniano esposto nella Gipsoteca della Galleria dell’Accademia di Firenze, fu disegnato da Francesco Nenci e inciso da Giuseppe Girometti.



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