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Deliveroo, Foodora, Uber. Come regolare i diritti del lavoro nella gig economy

Di Alessandro De Palma
platform workers

Le tecnologie portano nuovi vantaggi ma anche nuove sfide e, per quanto riguarda il diritto del lavoro, impattano anche sul mercato del lavoro. Infatti, attraverso le c.d. piattaforme digitali si favorisce il matching in tempo reale tra domanda e offerta di lavoro, realizzando una sorta di “disintermediazione” a vantaggio del fruitore del servizio che vede in questo modo ridotti sensibilmente tempi e costi dei servizi richiesti.

D’altra parte, come si sente sempre più spesso dire, l’economia on demand è l’evoluzione del lavoro freelance: un mercato più reattivo impone ai suoi operatori nuovi modelli di business, un incontro immediato tra chi richiede un determinato servizio e chi è in grado di erogarlo.

Ciò detto, dal punto di vista del diritto del lavoro, il prestatore di servizi che collabora con la piattaforma digitale è sostanzialmente un lavoratore autonomo che si interfaccia con i singoli committenti e, non intrattenendo formalmente alcun rapporto di lavoro con la piattaforma, su di lui ricadono tutti gli oneri assicurativi e previdenziali quanto, soprattutto, il rischio economico.

Tale soggetto si trova così a dover sostenere i rischi di un mercato del lavoro altamente competitivo e fortemente concorrenziale che ne determina una conseguente “cronica” situazione di debolezza economica che appare, allo stesso tempo, opposta e speculare a quella “precarietà” che aveva caratterizzato (e tuttora caratterizza?) la nozione di lavoratore parasubordinato (i famosi co.co.pro. e co.co.co.); se, infatti, la posizione di quest’ultimo era di dipendenza nei confronti di un committente dominante, il “platform worker” si trova a non avere potere contrattuale per il motivo contrario (cioè, un eccessivo surplus di offerta di lavoro). Ciò avviene in quanto la maggior parte dei lavoratori di questo tipo (fattorini a domicilio e autisti su tutti) offre servizi che tipicamente sono (stati) svolti alle dipendenze di un’impresa. Da ciò lo squilibrio e la carenza di protezioni che caratterizzano tale fenomeno.

Per provare ad affrontare questo problema sono nate le c.d. “umbrella companies”, società che svolgono una funzione mutualistica tramite attività quali la costituzione di fondi per ammortizzare i ritardi di pagamento dei committenti, fornire ai lavoratori una copertura previdenziale, assisterli nelle procedure amministrative per l’incasso dei compensi e il versamento delle imposte e finanche nella contrattazione con le piattaforme digitali di “condizioni di lavoro” più soddisfacenti (ad esempio, come accaduto in Belgio dove si è riusciti a concludere con Deliveroo  un accordo che prevede per i fattorini ciclisti un compenso minimo garantito, indipendente dal numero delle consegne compiute, oltre ad un contributo per l’uso della bicicletta e dello smartphone).

Altra opzione sarebbe quella di introdurre ex lege una sorta di standard retributivo minimo e universale, stando però attenti, in tal caso, ad evitare il rischio di una reintroduzione di “tariffe professionali” che probabilmente rischierebbero di avere un effetto fortemente disincentivante per le società di gestione delle piattaforme digitali (oltre ad incrementare forse eccessivamente i costi per gli utenti stessi).

Proprio in tale direzione si muove la recente proposta di disegno di legge del senatore Prof. Ichino che prevede l’integrazione della legge n. 81/2017 (c.d. “statuto degli autonomi”) con norme che, da un lato, riconoscono e disciplinano il rapporto giuridico – di carattere mutualistico e assistenziale – tra le umbrella companies e i lavoratori autonomi, e, dall’altro, predispongono una rete di protezioni e garanzie incentrata sull’individuazione di compenso minimo orario inderogabile (la cui quantificazione sarebbe demandata ad un successivo decreto ministeriale) per i lavoratori privi di copertura con una umbrella company.

La carenza di norme nell’attuale panorama legislativo in grado di tutelare tali fattispecie è evidente così come è evidente che la proposta del prof. Ichino si muova nella giusta direzione. La soluzione più efficace sarà, però, solo quella in grado di bilanciare le contemperate esigenze delle fasce più deboli con quelle di una economia di mercato competitiva ed inclusiva e in questo giocherebbero sicuramente un ruolo importante anche le disposizioni in materia economica che la proposta del prof. Ichino rimanda (comprensibilmente, visto che andrebbero comunque coinvolti anche gli operatori e gli esperti dei vari settori interessati) ad un futuro decreto ministeriale.

Alessandro De Palma, giuslavorista Orsingher Ortu – Avvocati Associati

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