Quando Papa Francesco e Donald Trump si sono incontrati a maggio in Vaticano lei, Callista Gingrich (nella foto), la nuova ambasciatrice Usa presso la Santa Sede, non ha potuto unirsi alla delegazione del presidente americano, in quanto la sua nomina era stata fatta circolare solamente pochi giorni prima per mano dello stesso Trump però di fatto non era stata ancora ufficializzata. Ma durante il loro colloquio privato, atteso e sotto i riflettori dei media di tutto il pianeta, è probabile che i due ne avranno parlato, anche se solo con un piccolo accenno, visto che d’ora in poi sarà lei a dover mantenere aperti i canali di comunicazione tra Washington e San Pietro.
LA CONFERMA DELLA NOMINA DIFFUSA A MAGGIO
La conferma ufficiale della sua designazione da parte del Senato degli Stati Uniti è arrivata lunedì 16 ottobre, dopo le indiscrezioni circolate a maggio, seppure non ufficiali. “Bisogna essere molto cauti”, aveva detto in quelle settimane il consorte Newt Gingrich, ex presidente della Camera dei Rappresentanti nel corso della presidenza Clinton, promotore della rivoluzione repubblicana negli anni ’90 oltre che candidato nel 2012 alle primarie del partito repubblicano, e soprattutto uno dei maggiori sostenitori dello stesso Trump già fin dalle primarie repubblicane, quando ancora soltanto in pochi avrebbero seriamente scommesso sulla vittoria del tycoon newyorkese.
L’APPROVAZIONE E I VOTI CONTRARI AL SENATO
Approvazione, quella della nuova ambasciatrice, arrivata tra l’altro non senza difficoltà: a fianco dei 70 voti favorevoli da parte del Senato americano sono stati infatti ben 23 quelli contrari, tutti dalle file democratiche. Per di più, in corrispondenza delle dimissioni del repubblicano Tim Murphy, che dopo aver votato in Senato il provvedimento sull’introduzione del divieto di aborto oltre le 20 settimane si è scoperto colpevole di avere fatto pressioni nei confronti di una donna per farla abortire. In ogni caso, la situazione è abbastanza insolita per nomine di questo tipo. L’unico che ha avuto un’opposizione più ampia della Gingrich è stato l’ambasciatore in Israele David Friedman, figura divisiva e controversa in quanto sostenitore delle politiche dell’ultradestra israeliana (qui l’articolo di Formiche.net).
I DUBBI SUL CURRICULUM DELLA NUOVA AMBASCIATRICE
Solitamente infatti – scrive il quotidiano francese Libération – negli Usa circa un terzo di queste nomine vengono effettuate per ragioni politiche, e spesso si tratta direttamente degli stessi grandi donatori della campagna presidenziale. Ma per la Santa Sede la situazione è del tutto differente, e sulla Gingrich i dubbi sembrano ricadere direttamente sul suo curriculum: a San Pietro dovrà infatti succedere all’ex presidente di una grande Ong cattolica, la Catholic Relief Services, mentre prima di lui il posto era occupato da un professore di teologia, entrambi quindi figure con alle spalle una conoscenza approfondita di temi cattolici e vaticani.
CHI È CALLISTA GINGRICH (E IL SUO ELEFANTINO PATRIOTTICO)
Callista invece è presidente, assieme al marito, della Gingrich Productions, una casa produttrice di libri e documentari ispirati dai propri ideali, oltre che autrice di libri per bambini (qui e qui gli approfondimenti di Formiche.net). Il personaggio più fortunato uscito dalla mente di Callista è il “patriottico elefantino Ellis”, un simpatico pachiderma che a detta di molti ricorda, inevitabilmente, lo stemma del Grand Old Party. La stessa azienda ha prodotto anche documentari su Giovanni Paolo II, e altri come “The First American, Divine Mercy” o “Rediscovering God in America”. Secondo alcuni osservatori pare siano questi gli unici agganci, almeno per ciò che fuoriesce dalla storia professionale della Gingrich, con la natura e la missione della Santa Sede e del Papa.
IL RUOLO DELL’AMBASCIATORE E I RAPPORTI TRA USA E SANTA SEDE
La Gingrich d’ora in poi dovrà esercitare il ruolo fondamentale di mantenere vivo il legame tra i due Stati. E Trump, nonostante i richiami ormai numerosi da parte di vescovi e cardinali sparsi per tutto il pianeta su ambiente, armi, pace e migrazioni, vuole dimostrare che alle relazioni con Francesco ci tiene. O forse, proprio per via di questi attacchi ripetuti. In ogni caso, dopo la sua caduta nel lontano ’98, ad oggi Newt Gingrich pare essere uno dei consiglieri più ascoltati dell’amministrazione Trump, e ciò non può che giocare un punto a favore di Callista: molti infatti sostengono che, in realtà, a smistare le chiamate della nuova ambasciatrice verso la Casa Bianca sarà direttamente l’ex speaker repubblicano. D’altronde Trump ha già inserito nel suo entourage presidenziale molti dei suoi stessi parenti, dalla figlia Ivanka al genero Jared Kushner, e quindi, se non altro nella metodologia, la dinamica si inserirebbe in un trend già consolidato.
LE RELAZIONI DIPLOMATICHE DALL’INIZIO FINO AD OGGI
È poi dall’inizio delle relazioni diplomatiche tra Stati Uniti e Santa Sede, nel 1984, che sono sempre stati inviati solamente ambasciatori cattolici. Erano i tempi di Ronald Reagan e del fronte comune con Giovanni Paolo II in chiave anticomunista. Ma da allora, specialmente sul fronte della “guerra giusta”, le divergenze non si sono mai fatte mancare. E oggi, su molti punti, tra il pontefice e il presidente degli Stati Uniti sembra scorrere totale divergenza, con l’apice raggiunto nella frase di Bergoglio “chi costruisce i muri non è cristiano”, fino al più recente schiaffo sferrato da La Civiltà Cattolica (la rivista dei gesuiti, diretta da padre Antonio Spadaro, che prima della pubblicazione passa il vaglio della segreteria di Stato vaticana) nei confronti “dell’ecumenismo dell’odio” di matrice trumpiana. Insomma: uno, Francesco, che spinge su pace, cura del creato, accoglienze dei migranti, e l’altro, The Donald, che preferisce lo stile “America first”, quello della risoluzione delle controversie per alzata di voce, dei discorsi poco accomodanti all’Onu, dell’uscita dagli accordi sui cambiamenti climatici, degli accordi con gli arabi sul commercio d’armi e i disaccordi con gli iraniani sui trattati per il nucleare.
I RAPPORTI (ALTALENANTI) DI TRUMP CON VATICANO E CATTOLICI AMERICANI
Soltanto negli ultimi giorni infatti l’inquilino della Casa Bianca si è visto recapitare una lettera da parte di 750 esponenti cattolici legati a congregazioni religiose, funzionari delle organizzazioni o singoli parrocchiani, che lo invitano ad agire “in modo responsabile” su dossier delicati come Iran o Corea del Nord, per assicurare cioè l’accordo con l’Iran sul nucleare e placare le tensioni con Kim Jong-Un, “the rocket man”, secondo l’appellativo dello stesso Trump. E ciò, nonostante il pugno duro del presidente sulle tematiche pro-life, che di certo trovano l’appoggio del Papa, anche se questo, almeno pubblicamente, spesso abbastanza tiepido, quando non pervenuto. Eccetto le poche righe diffuse dopo l’incontro tra i due in Vaticano, dove si citava la lotta per la difesa della vita. Mentre, al contrario, sul tema è decisamente più alto il gradimento da parte dei vescovi americani, in forte dissidio con il suo predecessore Obama sull’introduzione degli obblighi di finanziamenti da parte dei datori di lavoro (compresi enti e organizzazioni confessionali) a pratiche abortive, presenti nell’Obamacare e di recente smantellati da Trump. “Un ritorno al buon senso, a una pratica federale antica e alla pacifica convivenza tra Chiesa e Stato”, è stato il commento soddisfatto della conferenza episcopale americana (qui una lunga lettera pubblicata dal presidente Daniel DiNardo per elogiare il presidente degli Stati Uniti).