“Oggi le persone che generano sono quelle che sanno sognare, in un Paese che non sogna più”, ha detto padre Francesco Occhetta, firma de La Civiltà Cattolica, introducendo il convegno “Le nuove vie del lavoro. Riforme, competenze e formazione in un futuro da progettare”, tenutosi sabato 30 settembre, presso la sede della rivista, in occasione dell’uscita del suo volume edito da Àncora “Il lavoro promesso. Libero, creativo, partecipativo e solidale”.
Il tema dell’incontro è quindi il lavoro, e i dati offerti da Occhetta indicano che partendo dai 23 milioni di lavoratori in Italia, pari al 38 % della popolazione, su quattro di questi, circa tre sono pensionati, e su dieci uno è immigrato. La disoccupazione giovanile, che sfiora il 40%, è anche dovuta al fatto, rilevato da Confindustria, che 250 mila persone non sono state assunte perché la scuola non ha fornito le competenze necessarie.
L’INTERVENTO DI GIANLUCA COMIN
“Questo Paese ha trasformato l’investimento in una rendita, dando agli imprenditori aziende che garantiscono rendite sicure – ferrovie, autostrade, telecomunicazioni – e spostando così i loro capitali di rischio, investendo sul rischio fondi internazionali che non hanno logiche di sviluppo ma di guadagno finanziario”, ha affermato Gianluca Comin, imprenditore nel settore della comunicazione, docente alla Luiss e fondatore di Comin&Partners.
“Oggi è su questo che dobbiamo interrogarci: lavorare su una leva che favorisca l’investimento d’impresa e penalizzi quello finanziario”, ha aggiunto. Sul tema delle politiche attive del lavoro, Comin ha spiegato che c’è un gap “troppo grande” tra gli stipendi dei giovani e degli adulti, in quanto nella fascia tra 25 e 35 anni il lavoratore guadagna il 40 per cento in meno, “la fascia dove si compra casa e si fa una famiglia”.
L’idea dell’imprenditore è di colmarlo con una riduzione del cuneo fiscale, perché “un giovane consuma meno welfare”, ed è “urgente” perché “c’è un netto peggioramento dal 2005 ad oggi”. Così anche nell’incrocio tra domanda è offerta, dove “sul 20% per cento dei cv non ci si incrocia”.
L’ANALISI DI LEONARDO BECCHETTI
Richiamandosi alla Settimana sociale dei cattolici italiani, che si terrà quest’anno a Cagliari sul tema del lavoro, il docente di economia politica all’Università di Tor Vergata Leonardo Becchetti ha parlato del progetto “cercatori di lavoro”, con ragazzi che vanno sul territorio alla ricerca di buone pratiche. “Ne sono uscite ben 400, una fotografia bellissima del paese da cui tireranno fuori 5 idee guida: vorremmo che diventasse un metodo strutturale e permanente”.
L’Italia infatti, ha detto Becchetti, deve “puntare sulla qualità della manifattura, come su quella dei territori, risolvere il problema del mismatch e rimuovere lacci, lacciuoli e fardelli come la lentezza della giustizia civile, la burocrazia, la mancanza della banda larga e di accesso a fonti di finanza esterna per le Pmi”, aggiungendo che “bisogna estendere i Piani individuali di risparmio (Pir) alle non quotate”, o il rischio è “la creazione di una bolla speculativa”.
L’innovazione tecnologica, ha concluso l’economista, “sta creando Pil, ma il problema dell’occupazione dipende dalla capacità nostra di restituire fiscalmente queste risorse. Pensiamo alla web tax”. Infine, serve “una rete di protezione universale che non sia reddito di cittadinanza”, ma è ”importante affiancare il Rei con un tirocinio di disoccupazione. Il dumping sociale dei cinesi fa male principalmente ai cinesi, mentre a Stato e mercato dobbiamo affiancare cittadinanza attiva e impresa responsabile”.
LE PAROLE DI MARCO BENTIVOGLI (FIM-CISL)
“Se guardiamo i dati Istat sulla povertà vediamo che il ritratto del povero oggi è sempre più giovane e ha una correlazione inversa alla sua istruzione. I soggetti sul campo – Scuola università centri di formazione professionali imprese sindacato – non si parlano, mentre bisogna invece individuare delle priorità e portarle avanti”, ha detto Marco Bentivogli, segretario generale della Fim-Cisl.
“Questo paese non dovrà diventare una repubblica creata sui sussidi”, ha aggiunto Bentivogli. Fondamentale il dibattito sul rapporto lavoro-tecnologia: “In Italia abbiamo perso lavoro per poca tecnologia, il contrario di ciò che si dice. La gran parte delle crisi non è per la globalizzazione ma perché che le imprese hanno smesso di investire. La tecnologia rappresenta una grande occasione se incarna i valori di chi la progetta”.
LA CONCLUSIONE DI MONS. GIANRICO RUZZA
“La Chiesa italiana ha sentito il problema di mettere a tema la riflessione sul lavoro per tornare ad essere luogo di mediazione e di dialogo”, ha concluso mons. Gianrico Ruzza, vescovo ausiliare di Roma per il Settore Centro. “Il metodo è la denuncia ma con l’ascolto e la narrazione, condividendo cioè buone pratiche, per arrivare alla proposta. Che diventa provocazione al ceto politico, quando si nasconde dietro la scarsità delle risorse o alla crisi”.
I cambiamenti come la fine del lavoro stabile e tutelato impongono una conversione, ha spiegato Ruzza: “Ma dall’idea del lavoro come peso a ciò che genera identificazione c’è un lungo cammino fatto. Gesù ci mostra che questo ha radice nell’esperienza biblica”. Alcuni incontri di Gesù sono infatti venuti nel momento del lavoro: la chiamata agli apostoli mentre pescavano, a Levi mentre riscuoteva le tasse, ai pastori sollecitati da esclusi dalla città. “Nella Laudato Si’ il Papa fa un richiamo all’ora et labora che non è equilibrio psicologico ma lettura sapiente del cuore umano. Il lavoro è necessario per la dignità della vita, e cioè per la sua verità. In una società ripiegata su se stessa, edonista e permissiva, che il Papa non ha definito liquida ma sradicata, Gesù non ci sta”.
Ha così concluso mons. Ruzza: “Il papa ha detto che il lavoro dobbiamo chiederlo, generarlo, stimarlo e amarlo, ma anche pregarlo. Molte delle preghiere più belle dei nostri genitori e nonni erano sul lavoro, imparate e recitate prima, dopo e durante il lavoro, che è amico della preghiera ed è presente tutti i giorni nell’Eucaristia, frutto della terra e del lavoro dell’uomo. I campi, il mare e le fabbriche sono sempre stati altari da cui si sono alzate preghiere che Dio ha colto e accolto. Preghiere dette e recitate da chi sapeva e voleva pregare. Ma anche dette con le mani, con il sudore e con la fatica del lavoro, da chi non sapeva pregare con la bocca”