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Le 2 lezioni (liberali) del referendum in Catalogna

Mariano Rajoy - Imagoeconomica

La questione catalana, pur non riguardandoci direttamente, ha scatenato sui media e sui social atteggiamenti da tifoseria allo stadio.

Io, senza pretese di completezza, farei le seguenti riflessioni.

Primo: le votazioni sono avvenute in un climax emozionale (per colpa sia del governo spagnolo che, soprattutto, di quello catalano) difficilmente ripetibile. Il referendum scozzese, per fare un paragone, si è svolto in tutta tranquillità. Perciò, nonostante questa grande spinta emozionale che ha spinto anche chi non era fino a poco prima molto interessato a votare, l’affluenza è stata del 42%, bassa.

Il 90% ha votato a favore, perciò poco meno del 38% dell’elettorato attivo, difficile parlare di plebiscito, soprattutto perché i contrari, come succede nei referendum italiani, non sono andati a votare.

Secondo, l’unico garante della regolarità delle elezioni è una delle parti in causa, il governo catalano. I social diffondono foto di gente che ha votato due volte, urne riempite alla rinfusa e altri episodi che nessuna commissione indipendente avrebbe ignorato: le elezioni non hanno seguito gli standard democratici minimi e sarebbero invalide. Certo, non ci si dimentica l’intervento senza complimenti della polizia. Ma chi non poteva votare in un seggio si accomodava in un altro.

Terzo: che la costituzione spagnola non preveda la secessione può essere una giustificazione giuridica per Rajoy ma non di sostanza per un democratico. Se un popolo vuole l’autodeterminazione deve poterla avere. Ma un liberale sa che il processo è importante quanto la sostanza. Quindi, dimenticandoci la “messinscena” di domenica, è bene riflettere se un tema importante come la separazione di uno stato non meriti per lo meno le stesse garanzie di una modifica costituzionale, vale a dire diversi passaggi parlamentari ed elettorali e maggioranze rafforzate che evitino che a seconda della fortuna dell’ultimo sondaggio il 50.1% di una parte dell’elettorato determini i destini di tutti e poi magari, al successivo sondaggio qualche mese dopo si penta (vedi Brexit). Inoltre che dire delle province o entità territoriali che all’interno di una regione vogliono rimanere nel vecchio Stato? Se in un’ipotetico referendum secessionista Lombardo Milano decide di rimanere italiana, che si fa? Mandiamo truppe bresciane e bergamasche a invaderla? Insomma il percorso deve essere garantista e ponderato, a questo servono le costituzioni e in questo il liberalismo ha migliorato la democrazia diretta ateniese poco attenta ai diritti individuali (la libertà degli antichi -dei popoli- e quella dei moderni – degli individui -per chi si ricorda Benjamin Constant che pure ammirava Atene rispetto a Sparta).

Detto ciò, la battaglia mediatica la stanno vincendo i catalani indipendentisti, che seguono quei pifferai al governo che li porteranno fuori dalla Spagna, dall’Europa, dalla NATO, dal WTO , essendo escluso che Madrid ne consentirà mai la riammissione. Madrid che avrebbe dovuto gestire in modo diverso la situazione, sia nella sostanza (più autonomia fiscale) che nella forma (le truppe in assetto da sommossa son state un errore grave).
Auguri a tutti noi e alla ragionevolezza.

(Articolo pubblicato su Facebook e sul blog Das Kapital del sito l’Espresso)



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